Nel marzo scorso mi recai alla Discoteca Laziale per prendere qualche vinile da regalare al mio futuro testimone di nozze, l’amico fraterno Francesco Sicheri. Dopo aver scelto ciò che avrebbe potuto fare al suo caso mi spostai nell’area del negozio riservata ai cd per cercare qualcosa in grado di sedare la mia fame di musica, e nel reparto di musica internazionale scovai una copia di “Hopes and Fears” dei Keane: me la ritrovai in mano passando in rassegna alcuni dischi posizionati sullo stesso scaffale.
Un disco che fino a quel momento non avevo mai ascoltato per intero, pur stimando molto le qualità della band inglese, a mio avviso piuttosto ispirata nella parte iniziale della carriera (ammetto di aver colpevolmente ignorato le loro produzioni più recenti). Possedendo già il bellissimo “Under the Iron Sea” del 2006, lì per lì mi sembrò giusto non farmi scappare un’occasione simile, soprattutto notando il prezzo irrisorio applicato sulla confezione rigida e plastifica. In fin dei conti si tratta tuttora di un album acclamato, che nel tempo ha venduto tanto permettendo a milioni di persone di affezionarsi a una band capace di farsi largo nel mainstream attraverso uno stile semplice ma in ogni caso intrigante, per nulla effimero.
Insomma, alla fine lo presentai alle casse insieme ai vinili per il mio amico e ai primi tre album dei Franz Ferdinand, trovati sempre nel reparto cd e presi senza alcun tipo di dubbio (da anni contavo di procurarmeli). Che ci si creda o no, da quando l’ho acquistato “Hopes and Fears” è uno degli album che risuona con maggiore frequenza tra le mura di casa mia.
Posso dire di essere stato ipnotizzato all’istante da una produzione simile, di fatto un disco onesto anche se non magistrale, eppure frutto di un lavoro certosino in termini di scrittura e di arrangiamenti. Al di là dei pezzi da novanta che hanno contribuito a farlo arrivare in cima alle classifiche, come le celeberrime Everybody’s Changing e This Is The Last Time, lo trovo un disco forte e al contempo piacevole, quasi rilassante per la sua gradevole armonia.
Gli undici brani in scaletta sono indubbiamente validi, contraddistinti da un sound coerente e non stucchevole. Pregevoli le melodie, così come gli slanci del frontman Tom Chaplin, secondo il mio modestissimo parere dotato di una splendida voce, candida ma potente e avvolgente al punto giusto.
Più lo sento più mi rendo conto del perché, all’epoca della sua uscita, “Hopes and Fears” riuscì ad attirare l’attenzione di un gran numero di persone, all’estero così come in Italia. Nel concepirlo e realizzarlo, i Keane furono assai abili a costruire un qualcosa di sofisticato e accessibile.
Nei primi anni Duemila progetti di questo tipo potevano tranquillamente funzionare, perché le radio e le televisioni erano disposte a proporre un pop del genere, frizzante e ragionato, elegante e moderno. Oggi un lavoro simile non troverebbe spazio nelle programmazioni delle emittenti più in voga, e soprattutto non sarebbe in grado di stuzzicare a dovere le orecchie ormai rovinate delle nuove generazioni, poco attratte da proposte musicali orientate verso un pop di qualità, non patinato e nemmeno superficiale, posticcio.
Per quanto mi riguarda, “Hopes and Fears” è un album assai valido, di quelli che si lasciano ascoltare senza problemi e che non annoiano, perché privi di episodi effimeri. Ogni ascolto mi proietta ai tempi del liceo, alla fine del 2004 e all’inizio del 2005, quando quell’Everybody’s Changing si sentiva ovunque, e in classe, tra un pensiero e l’altro, tra un sogno e una perplessità sul futuro da abbracciare, quella melodia vagamente malinconica si adagiava innocua e confortevole su ogni respiro e su ogni battito, su ogni scorcio di luce.
Alessandro
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