Ho sempre pensato che per realizzare grandi opere, che siano dischi piuttosto che film o libri, sia necessario prendersi molto tempo. Lasciar passare parecchi anni tra una produzione e l’altra, ecco. Una percezione di questo tipo l’ho avuta ben presto contemplando ad esempio la carriera di Fabrizio De André, uno che a partire dalla metà degli anni Ottanta iniziò ad impiegare circa sei anni per scrivere e registrare i suoi album.
Fortunatamente c’è chi ancora oggi ragiona in questa maniera. Damien Rice ad esempio. Nonostante il successo, nonostante il grande seguito, e nonostante la stima della critica, il buon Damien se n’è sempre infischiato delle logiche del mercato. Lui è sempre andato contro le regole della discografia, al punto tale di decidere di non sfornare un disco per otto anni.
Ora, grazie al cielo, il suo silenzio discografico sta per infrangersi. Il prossimo 4 novembre esce il suo terzo lavoro in studio, ovvero “My Favourite Faded Fantasy”, un disco che secondo voci di corridoio si appresta ad essere uno dei migliori lavori dell’anno.
Non so cosa aspettarmi da questo album, che comunque acquisterò ad occhi chiusi. Certo è che da giorni non faccio altro che sentire a ripetizione I Don’t Want To Change You, il primo singolo estratto da questa nuova raccolta.
Trovo che sia una canzone potentissima, estremamente ispirata nelle liriche, profonda nella parte musicale e devastante in quanto ad arrangiamento. Ogni volta mi commuovo nell’ascoltarla. Lo ritengo un pezzo incredibile, un ottimo esempio di canzone pop costruita con saggezza e stile e lontana anni luce dalle sonorità patinate tanto in voga nelle radio commerciali. Un ritorno importante quello di Damien, persona umilissima e talento puro a cui il mondo della musica deve tanto.
Alessandro
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