Come credo tante persone in questo Paese, soprattutto colleghi della stampa e appassionati di musica e di giornalismo musicale, sono stato profondamente segnato e scioccato dall’improvvisa scomparsa di Ernesto Assante, critico assai preparato, tra i più autorevoli nel settore, venuto a mancare nel febbraio scorso. Il suo addio ha lasciato un vuoto incredibile e spaventoso, perché prima ancora del suo talento si è smarrita l’anima di una persona brillante e positiva, generosa e cordiale, educata.
Bisogna prendere atto del fatto che non sia più tra noi un grande conoscitore della musica contemporanea, un vero esperto di rock, così come di canzone d’autore, di jazz, di elettronica e di tanti altri generi musicali che si sono sviluppati nel corso del Novecento. Durante la sua vita, Assante si è dedicato a un’infinità di progetti, passando dall’attività giornalistica per la carta stampata a quella per la radio e la televisione, senza dimenticare l’organizzazione di numerose rassegne e di svariati festival.
Se n’è andata una persona piena di energia e di entusiasmo, una persona patita di musica e sempre desiderosa di informare, di analizzare, di spiegare, di raccontare. La sua scomparsa rappresenta un duro colpo per il giornalismo musicale, un comparto a cui Assante ha donato tanta linfa per decenni grazie a un numero indefinito e indefinibile di articoli e interviste da lui firmati e pubblicati.
Devo confessare che fin dai primi anni della mia attività giornalistica ho cercato di “rubare” tanto dal suo modo di lavorare. Soprattutto agli esordi, ho cercato di ispirarmi a lui, tentando, senza successo, di intraprendere il suo stesso travolgente percorso, scandito da esperienze tanto stimolanti quanto prestigiose.
Tante volte, parlando con amici e parenti, ho detto: «Mi piacerebbe avere una carriera come quella di Assante, occuparmi di musica in maniera trasversale, scrivendone e parlandone il più possibile». Negli ultimi anni, a livello giornalistico, mi sono allontanato gradualmente dalla musica, di cui tratto sempre meno poiché lavoro presso un’emittente televisiva contraddistinta da un taglio generalista, il che vuol dire passare dalla sanità alla politica, dallo sport all’economia. Eppure, nonostante tutto, coltivo ancora la flebile speranza di tornare a occuparmene in maniera più ampia e costante. Nel caso in cui ciò dovesse accadere, lo farò provando a metterci dentro tutta la professionalità di una grande penna come Assante.
Anche se sono già passati tre di mesi dalla sua morte, rimango tuttora tramortito da quanto accaduto. Mi tornano in mente i tanti incontri avvenuti nel tempo, soprattutto in occasione di conferenze stampa organizzate a Roma per presentare rassegne o mostre.
Non so davvero quante volte mi sono avvicinato con la telecamera e il microfono per chiedergli la cortesia di rilasciarmi una dichiarazione da inserire nel servizio per il telegiornale che avrei poi montato una volta rientrato in redazione. Lui, ovviamente, si è sempre reso disponibile con il suo bel sorriso stampato in faccia, nonostante gli impegni di lavoro e le persone lì intorno da salutare.
Quando il contesto appariva particolarmente tranquillo, ci scappava anche qualche breve considerazione su un disco appena uscito. «Sono un patito di musica», sottolineavo sempre prima di intavolare un conversazione. E lui, cordiale come suo solito: «È la più bella malattia che si possa avere».
Quanta verità. E quanto dolore nel pensare che incontri così belli e spontanei non si ripeteranno più.
Ciao caro Ernesto. Mancherai tantissimo.
Alessandro
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