Carletto mio, Carletto nostro

Un’estate tutto sommato tranquilla e rilassante, almeno per il sottoscritto, è stata segnata da una notizia pesantissima, devastante, ovvero la scomparsa dell’immenso Carlo Mazzone, personaggio unico nel mondo del calcio di tutti i tempi. È stato grande ed esagerato il dolore, perché seppur molto anziano, questa icona assoluta dello sport italiano ha lasciato un vuoto incolmabile: sarebbe stato bello averlo con noi ancora per tanti altri anni, sentire le sue impressioni su un calcio sempre più privo di poesia e palesemente schiacciato dai soldi, dagli interessi.
Impossibile non adorare il grande Carletto, impossibile non condividere il suo modo di costruire le proprie squadre e di preparare le partite, curando la difesa e il centrocampo come pochi. Pur non avendo mai avuto modo di allenare delle vere big, quest’uomo è stato capace di regalare emozioni infinite a decine di tifoserie, portando calore in piazze difficili, di base non abituate a gioire molto.
Quasi sempre costretto a lavorare in emergenza, con rose di certo non entusiasmanti né portentose a livello tecnico, è riuscito a ottenere salvezze magistrali, recuperando delle situazioni davvero critiche, almeno in partenza. Ovviamente, per lui, ci sono state delle annate storte, fatte di grandi delusioni (si pensi alla clamorosa retrocessione del Bologna nel 2005), ma mi vengono ancora i brividi nel ricordare gli importanti risultati ottenuti con club quali Cagliari, Perugia e Brescia, senza dimenticare quell’Ascoli a cui è sempre rimasto fortemente legato.
Ovviamente Mazzone vuol dire Roma, perché a Roma è nato e della Roma è stato tifoso fin da bambino. Roma che, per tre stagioni, ha anche allenato, senza tuttavia ottenere piazzamenti memorabili in campionato e senza, purtroppo, riuscire ad alzare un trofeo.
La cosa assurda è che la prima volta che andai allo stadio con mio nonno Marcello, romanista sfegatato, fu per vedere una partita della sua Roma, della Roma del Sor Carletto. Ricordo tutto come se fosse ieri: febbraio del 1996, pomeriggio freddo ma soleggiato, gara casalinga dei giallorossi contro il Torino di Franco Scoglio decisa da un guizzo di Francesco Statuto, pronto a finalizzare un’azione un po’ sconclusionata, forse viziata da un fuorigioco. Vittoria sofferta e di misura, ottenuta però grazie all’impegno e alla forza di volontà, aspetti che un allenatore del genere riusciva a far comprendere ai suoi.
Incredibile davvero, Mazzone è sempre stato nel mio destino. Pochi, come lui, mi hanno trasmesso al contempo felicità e sicurezza, grinta e conforto. Indimenticabile ed eterno, nessuno come lui.

Alessandro

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