Tra il 2010 e il 2011 vidi tre dei cinque film realizzati fino a quel momento dal regista e sceneggiatore americano, Darren Aronofsky. Al tempo non ebbi modo di visionare le sue prime due pellicole, vale a dire “π – Il teorema del delirio” (“π”) e “Requiem for a Dream”. A entrambe sono riuscito a dedicarmi solo di recente, in pratica l’estate scorsa.
Se “π – Il teorema del delirio” mi è parso un discreto lavoro, seppur non contraddistinto da una grande produzione, quindi un budget importante, “Requiem for a Dream”, risalente al 2000, mi ha letteralmente colpito. Già qualche amico me ne aveva parlato bene, in ogni caso non credevo di imbattermi in un lungometraggio simile, crudo e straziante man mano che ci si avvicina alla conclusione.
Seppur a inizio carriera, Aronofsky diede prova di estremo talento scrivendo un ottimo copione insieme a Hubert Selby Jr., autore del romanzo da cui il film venne tratto, e individuando delle soluzioni interessanti a livello registico. Curiosa, ad esempio, la divisione in tre sezioni, che poi corrispondono a tre stagioni, con l’estate, l’autunno e l’inverno che rappresentano rispettivamente ascesa, declino e caduta dei protagonisti.
In “Requiem for a Dream” viene descritto con estrema abilità un contesto squallido, triste, decadente. La situazione precipita progressivamente, con i tre personaggi principali incapaci di tirarsi per tempo fuori dai guai, finendo piuttosto per precipitare del tutto.
La pellicola mette in evidenza certe consuetudini abbastanza improbabili e ricorrenti della società americana, tra cui l’abuso di droga e la smania di mettersi in competizione con gli altri. Se nel corso delle battute iniziali la situazione appare abbastanza tranquilla, con la presentazione dei tre ragazzi attorno ai quali ruota la vicenda, già prima della metà della pellicola l’atmosfera si fa decisamente cupa, angosciante.
Aronofsky è estremamente bravo a suggerire quel senso di soffocamento che circonda la storia. E lo fa senza esagerare, senza forzare. Non è un film artefatto “Requiem for a Dream”. Non lo è per niente. È invece un film fatto con maturità. Una maturità non scontata, ma anzi provvidenziale al fine di garantire la credibilità adeguata all’opera, che non rischia di apparire stucchevole.
Ci sono delle scene toste, come quando il braccio del personaggio interpretato da Jared Leto, dipendente dall’eroina, comincia a rovinarsi in seguito a una tremenda infezione: difficile, in quel frangente, non restare impressionati. In ogni caso, è un film che vale la pena vedere. Di certo è uno dei migliori lavori di Aronofsky, talentuoso ma non dedito a produrre film semplici e lineari.
Alessandro
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