Circa una dozzina di anni fa, quando iniziai a muovere i miei primi passi in radio, dovetti per forza di cose ampliare tanto e presto la mia conoscenza musicale. Se non altro, dovendo trasmettere dagli studi di un’emittente importante, storica, come Radio Onda Rossa, capii che era il caso di iniziare a sentire artisti e gruppi per me nuovi e molto apprezzati, nonché passati dagli altri speaker operativi in via dei Volsci, a San Lorenzo. Insomma, era il caso di individuare, assaporare e assimilare il suono della radio, entrare un po’ in quel mood.
Se inizialmente posi molta attenzione verso generi come reggae, ska, patchanka, funk, world music e folk, dopo le prime settimane di ambientamento compresi di dover “ingranare” anche e soprattutto sul versante punk e wave. Perché? Perché oltre alle varie ramificazioni del rock, erano quelli i due generi che più di altri contraddistinguevano la programmazione di “Apostasia”, la trasmissione che casualmente mi ritrovai a condurre insieme ai dj Fongis e Peligro. Proprio a loro chiesi di consigliarmi un po’ di cose valide ed essenziali da sentire.
Peligro, che rispetto a Fongis ha da sempre un debole per le chitarre elettriche e quindi per qualsiasi forma di punk, mi fece un bell’elenco di gruppi, invitandomi comunque a buttare un occhio sui cd e sui vinili che portava con sé in redazione. Tra le prime band legate al punk (ma non riconducibili soltanto ad esso in virtù di un’ampia e affascinante contaminazione sonora) in cui mi imbattei ci furono i fenomenali The Gun Club, progetto capitanato dal compianto Jeffrey Lee Pierce attivo a partire dall’inizio degli anni Ottanta e scioltosi verso la metà del decennio successivo a causa della prematura scomparsa dello stesso frontman.
Ritenere punk i Gun Club è assolutamente riduttivo. Per quanto questo genere s’insinuasse puntualmente nei loro pezzi molto caldi e coinvolgenti, la musica di Lee Pierce e soci mescolava con sapienza e originalità anche rock, folk e blues. Dunque, per capirci, una miscela folgorante di suoni abbastanza ricorrenti negli Stati Uniti. Seppur non degli integralisti del punk, i Gun Club venivano passati parecchio all’interno di “Apostasia”, dove comunque non si ponevano paletti di nessun tipo e dove, di fatto, il rock, classico, indie o alternativo che fosse, risultava fungere da collante tra il punk stesso e la wave.
Gli ascolti iniziali degli album pubblicati da Lee Pierce con il resto della banda furono sensazionali: dischi quali “Fire of Love”, “Miami”, “The Las Vegas Story” e “Mother Juno” mi aprirono la mente spiazzandomi nel senso più positivo del termine. Incuffiarsi e contemplare la bellezza di tracce così ben confezionate, scandite da pregevoli riff di chitarra e da suoni ruvidi e acidi al tempo stesso, era davvero una goduria. Ancora oggi mi capita di risentire i principali lavori in studio firmati dai Gun Club e di incantarmi: il suono che furono in grado di costruire con impegno, passione e un briciolo di spericolatezza ha davvero fatto scuola.
Lee Pierce e i suoi musicisti avevano una particolare abilità nel concepire delle canzoni autentiche, cariche di energia e coerenti. Le soluzioni da loro trovate per portare poi a casa materiale di spessore erano notevoli, curiose. Questo perché sapevano mostrarsi alle volte ficcanti, tramite componimenti parecchio tirati, e alle volte invece più ipnotici grazie all’ideazione di atmosfere sognanti, quasi sensuali, che il cantante e chitarrista del gruppo sapeva “gestire” alla grande inserendovi versi calzanti e vocalmente interpretati con uno stile sublime. Mi auguro che ancora oggi dei giovani ascoltatori possano scoprire e fare proprie le grandi canzoni donate al mondo dai Gun Club.
Alessandro
Leave a Reply