Conosco e ascolto costantemente i dEUS da oltre dieci anni. Ricordo che un caro amico me li nominò un giorno all’università, tra una lezione e l’altra (probabilmente era il 2008). Credo sia una band semplicemente formidabile perché capace di produrre una musica di spessore piuttosto legata al rock anche se, al contempo, in grado di inglobare e far convivere con estrema facilità una quantità sorprendente di generi molto diversi tra loro.
A suon di grandi dischi e di tour impeccabili, in oltre venticinque anni di carriera Tom Barman e soci sono riusciti a garantirsi un pubblico non solo ampio ma anche fedele. Merito, appunto, delle loro indubbie qualità creative e tecniche. Dando uno sguardo alla discografia dei dEUS, ci si rende conto di quanti album importanti abbiano sfornato: se il trittico iniziale formato da “Worst Case Scenario”, “In a Bar, Under the Sea” e “The Ideal Crash” è dir poco travolgente, appaiono ugualmente intriganti e ben strutturati tutti i lavori successivi anche se, magari, meno immediati (penso a “Vantage Point” o a “Following Sea”).
C’è un aspetto della musica di questo grande gruppo belga che mi fa sempre riflettere e che, in un certo senso, è ravvisabile anche in altre rock band sperimentali che sono comunque andate lontano nonostante l’estremizzazione della propria musica: l’abilità a confezionare grandi canzoni, destinate a restare impresse nelle mente dei fan, seppur articolate e contraddistinte da soluzioni imprevedibili. Insomma, i dEUS sono dei maestri perché, osando in continuo, non dimenticano certi punti di riferimento imprescindibili per mettere in piedi brani solidi, attraenti.
Mi è impossibile dimenticare la loro perfomance allo Sziget Festival del 2012: io ero lì in compagnia di grandi amici e non ci perdemmo per nessuna ragione al mondo il set del gruppo che si sviluppò all’interno di una piccola arena. Fu un live clamoroso, aperto, se la memoria non m’inganna, da un evergreen quale Suds & Soda, pezzo che si trova nel già citato “Worst Case Scenario”. Di fronte a noi una formazione trascinante, composta da puri professionisti. E pensare che “rischiai” di salire sul palco in un momento concitato. Alcuni ce la fecero, io non riuscii a scavalcare le transenne. Ma va bene così: forse, se fossi andato su, non sarei riuscito a godermi la parte finale del concerto.
Alessandro
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