Per quanto siano passati ben quattordici anni dalla sua uscita, il che mi sembra piuttosto assurdo anche se evito di soffermarmi su tale aspetto per non essere inghiottito come mio solito dalla malinconia, trovo ancora oggi estremamente accattivante e ben confezione il brano Is It Any Wonder? degli ottimi Keane. Il pezzo in questione, rilasciato il 29 maggio del 2006, venne scelto da Tom Chaplin e soci per promuovere al meglio il disco “Under The Iron Sea” che sarebbe poi stato immesso sul mercato il 12 giugno di quell’anno (leggo solo adesso che prima di Is It Any Wonder? uscì un altro singolo targato Keane, ovvero Atlantic, traccia di apertura del cd).
Come succedeva spesso in quel periodo, contemplai per la prima volta in assoluto questa traccia visionando attraverso il televisore di casa il bel video realizzato per accompagnare con delle immagini una canzone indubbiamente immediata, buona per i target delle radio commerciali e non grazie ai ritmi sostenuti, all’inciso di certo efficace, all’intrigante riff di chitarra portante e alla breve durata (si raggiungono appena i tre minuti). Mi soffermo su questo aspetto perché, a mio avviso, proprio il video gioca un ruolo rilevante nell’economia della canzone: non credo di essere l’unico a ravvisarne una potenza importante che sorregge alla grande la dinamicità di un bel pezzo.
Sono sincero: fino a quel momento i Keane non mi avevano convinto molto. Due anni prima, nel 2004, erano riuscito a imporsi su scala mondiale dando alle stampe un disco di successo come “Hopes and Fears”, tra l’altro la loro prima prova in studio. Seppur convinto della validità di singoli come Everybody’s Changing e This Is The Last Time, trovavo un po’ stucchevoli certe loro soluzioni sonore. Tuttavia, ascoltando Is It Any Wonder? ravvisai una crescita importante. Rimasi colpito dalla velocità e dalla dirompenza di un componimento quasi atipico per un gruppo che, in precedenza, aveva prodotto materiale più vicino al pop che al rock pur mostrando una naturale tendenza a includere spesso e volentieri della sana elettricità.
Is It Any Wonder? riuscì in qualche modo a farmi cambiare idea sui Keane. Mi indusse a credere che il collettivo inglese era in grado di distinguersi con autorevolezza anche cimentandosi in tracce tirate, andando oltre pezzi lenti e avvolgenti in ogni caso gradevoli e capaci di emozionare un’ampia fetta di pubblico.
Ogni dubbio sulle qualità dei Keane scomparse del tutto ascoltando per intero “Under The Iron Sea”, davvero un lavoro maturo. Devo ammettere di averli persi di vista già a partire da “Perfect Symmetry” del 2008 (conto, prima o poi, di sentire con attenzione tutta la loro discografia). Detto questo, “Under The Iron Sea” resta un album eccellente, parecchio sottovalutato quando venne distribuito nei negozi di tutto il mondo.
Alessandro
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