Carlo Martelli, non un discografico come gli altri

Qualche settimana ho pubblicato qui sul blog un post tramite il quale comunicare le ultime novità riguardo il lavoro a Retesole, soffermandomi sul nuovo programma che sto conducendo dal mese di settembre e intitolato “Una finestra su…”. Ad oggi sono già andate in onda quattordici puntate, con la quindicesima che verrà trasmessa lunedì prossimo prima della consueta pausa natalizia (si ripartirà il 13 gennaio).
In questa fase iniziale sono stati trattati numerosi temi: politica, sociale, sport, cultura. L’intervista di cui vado sicuramente più fiero è quella al discografico Carlo Martelli trasmessa a ottobre. Ci tenevo tanto a farla perché per me Carlo è un mito, una figura fondamentale, un punto di riferimento, una persona che negli ultimi trent’anni ha fatto tantissimo per la musica italiana così come per la diffusione di quella internazionale nel nostro Paese. Da qui credo che, nel suo caso, sia riduttivo parlare di “discografico” ma ci vorrebbe un un post a parte per spiegarne le ragioni.
Quando ad agosto mi è stato segnalato che nel corso della stagione 2019-2020 avrei dovuto curare questo format, caratterizzato da interviste di mezz’ora da realizzare tra Roma e Perugia, ho subito iniziato a buttare giù una lista comprendente i nomi di diversi personaggi. Tra questi, ovviamente, Carlo stesso. Da tempo pensavo a un modo per incontrarlo e per parlare con lui, davanti a una telecamera, della particolarità del suo preziosissimo lavoro mutato progressivamente dagli anni Ottanta in poi. Purtroppo, in precedenza, non c’era mai stato modo di organizzare, mentre la possibilità si è creata proprio attraverso la partenza di “Una finestra su…”.
Di Carlo ho iniziato a sentir parlare per la prima volta circa cinque anni fa: il suo nome usciva fuori in diverse chiacchierate con alcuni musicisti a lui molto legati in virtù di collaborazioni passate. Man mano sono riuscito a inquadrarlo, a comprenderne la qualità, la generosità, l’incredibile conoscenza musicale, i tanti e differenti ruoli ricoperti nel settore (giusto per fare un esempio, ricordo la sua idea di creare l’etichetta romana SunnyBit). Poi, finalmente, ho avuto la fortuna di parlarci. Ricordo benissimo la data: il 9 dicembre del 2016. Quella sera andai a vedere il concerto di Filippo Gatti al Brancaccino di Roma.
Al termine del live, qualcosa di magico per la scaletta proposta e per i suoni creati insieme al chitarrista Matteo D’Incà, mi ritrovai a parlare con l’amico e collega Alessandro Sgritta a cui confidai le mie perplessità rispetto al reperimento dell’album di Filippo “Il pilota e la cameriera” del 2012 andato ben presto fuori catalogo. A un certo punto Alessandro mi disse: «Guarda, se non riesci a trovare questo disco, lì c’è Carlo Martelli, al tempo il discografico di Filippo. Magari lui può darti qualche dritta». Neanche un momento di esitazione: dopo pochi istanti raggiunsi Carlo, in quel frangente in compagnia di Daniele e Riccardo Sinigallia, per presentarmi e per chiedergli maggiori delucidazioni sull’eventuale recupero di un cd che purtroppo, al momento, ancora non possiedo.
Ricordo una conversazione rapida ma piacevole, in cui lui mi dava qualche speranza non escludendo una possibile ristampa di quel progetto discografico. Circa un paio di mesi dopo incontrai di nuovo Carlo a Le Mura, club situato a San Lorenzo. Anche quella volta suonava Filippo (i due sono legati da tanti anni). Non volendo apparire pesante e ripetitivo, nel chiacchierare con lui evitai di tornare su “Il pilota e la cameriera” soffermandomi piuttosto su altri temi, ad esempio dei problemi di visibilità di certi grandi cantautori. Nonostante l’imbarazzo, poco prima dell’inizio del concerto decisi di chiedergli il numero, forse senza un motivo preciso. Una scelta giusta, con il senno di poi. Già, perché due anni e mezzo dopo è bastato un colpo di telefono per proporgli di registrare l’intervista con il suo immediato, eppure non scontato, via libera.
Sto rivedendo proprio adesso la puntata e con lo scorrere dei minuti mi rendo nuovamente conto delle tante attività svolte da Carlo, basti pensare agli esordi da promoter radio e video fino alla direzione di Extra Labels con il conseguente lancio di Caparezza. Una carriera super la sua, costellata da esperienze professionali e umane memorabili che lui ama sempre raccontare con gioia e sincerità. La cosa che più mi sorprende di Carlo non è tanto la sua collezione infinita di cd e vinili, nemmeno la quantità di gruppi e cantautori da lui conosciuti: mi colpisce il modo unico e spensierato con cui vive la musica, l’entusiasmo che nutre per le cose pubblicate in passato così come per quelle che escono oggi. Non sta sul pezzo, di più! Credo sia fantastico tutto ciò. Spero, tra trent’anni, di essere così. Ce ne vorrebbero tante di persone come lui. Sicuramente il mercato musicale se la passerebbe decisamente meglio.
Ricordo che quando arrivò in redazione per registrare, Carlo si presentò con due album magnifici: uno era “Dépaysé” del formidabile Sinkane, artista di cui non avevo mai sentito parlare prima di allora e che in breve tempo è riuscito a conquistarmi, mentre l’altro era “Years to Burn” firmato dai Calexico e dall’immenso Iron & Wine. A proposito di quest’ultimo progetto, gli riferii che già lo possedevo perché a luglio lo avevo comprato a Villa Ada dove avevo visto lo splendido concerto tenuto dalla band insieme al songwriter texano. Insomma, “Years to Burn” glielo ridiedi. Lui a quel punto mi svelò che aveva dato una mano alla promozione delle date italiane del tour di Calexico e Iron. Non so se mi spiego.

Alessandro

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