Pochi giorni fa sono stati ufficializzati i vincitori delle Targhe Tenco 2019, il più importante riconoscimento per chi produce musica di qualità in Italia. Per quanto mi riguarda, si tratta di un appuntamento di estrema rilevanza poiché si accendono i riflettori su progetti discografici il più delle volte confezionati da professionisti veri, cantautori di spessore, gente che sviluppa a modo proprio un tipo di canzone “rigorosa”, lontana dalle frivole mode del momento.
Diciamo che ogni anno seguo con particolare attenzione ogni singolo step che porta poi una giuria ad hoc a decretare le migliori produzioni delle singole categorie. Proprio le grandi aspettative che riservo nei confronti dell’iniziativa generano in me un’ormai costante delusione, se non altro perché raramente i miei pronostici vengono rispettati (non nascondo però di averci anche preso ogni tanto).
Andiamo con ordine però, riepilogando quindi i premiati: “Ballate per uomini e bestie” di Vinicio Capossela ha sbaragliato la concorrenza nella sezione “Miglior disco in assoluto”, “La vita veramente” di Fulminacci si è imposto in qualità di “Miglior opera prima”, “Lo chiamavano vient’ ‘e terra” di Enzo Gragnaniello ha convinto gli esperti per quanto riguarda il “Miglior album in dialetto”. “Miglior canzone singola”, Argento vivo di Daniele Silvestri presentata a Sanremo; Alessio Lega primo nella categoria “Interprete di canzoni” (titolo dell’album: “Nella corte dell’Arbat. Le canzoni di Bulat Okudzava”), Adoriza al top con “Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici” per il “Miglior album collettivo a progetto”.
Nel congratularmi con i finalisti e i vincitori, non condivido determinate scelte effettuate dai “critici”. Vado dritto al sodo, senza girarci troppo intorno. La vittoria di un album come “Ballate per uomini e bestie” del buon Vinicio nella categoria “Miglior disco in assoluto” può pure starci, eppure qualcuno deve spiegarmi il perché dell’esclusione dalla cinquina finale di lavori come “Ciao cuore” di Riccardo Sinigallia, “Incontinenti alla deriva” di gaLoni, “Go Go Diva” de La Rappresentante di Lista e “Poesia e civiltà” di Giovanni Truppi. A mio avviso, almeno questi quattro titoli avrebbero meritato di arrivare fino in fondo (mi ha sorpreso in positivo l’arrivo in finale di “Bastasse il cielo” di Gino “Pacifico” De Crescenzo). Inoltre, se vogliamo dirla tutta, proprio “Ciao cuore” avrebbe addirittura meritato il primo posto in virtù di una release semplicemente coraggiosa, moderna nell’approccio anche se capace di far emergere gradevoli elementi tipici della grande canzone d’autore italiana. Detto questo, ripeto, sono comunque contento del fatto che l’abbia spuntata Vinicio, di cui devo sentire con maggiore attenzione il suo ultimo lavoro.
Poco convinto anche da quanto accaduto nelle categorie “Miglior canzone singola”, “Miglior opera prima” e “Miglior album in dialetto”. Argento vivo è di certo un grande pezzo, e infatti ho sperato fino all’ultimo che potesse trionfare a Sanremo (utopia assoluta). In questo caso non ho molto da ridire in merito al vincitore, ma devo necessariamente puntare il dito sulla “cinquina”. Come è mai possibile che manchino pezzi quali “L’unica oltre l’amore” di Truppi, “Bastasse il cielo” del già citato Pacifico, “Il povero Cristo” di Vinicio stesso, “Abbi cura di me” di Simone Cristicchi (altro brano reduce dalla kermesse sanremese), ma anche qualcuno degli inediti di gaLoni, Sinigallia, o Mario Venuti?
Come potete notare mi ostino sempre a citare gli stessi nomi. Non lo faccio per mera simpatia, ma perché ritengo che queste persone qui abbiano dato alle stampe dei lavori semplicemente sopra la media e, dunque, meritevoli di riconoscimenti adeguati.
Nella sezione “Miglior album in dialetto” avrei fatto salire sul gradino più alto del podio Francesco Di Bella, almeno arrivato a un passo dalla vittoria con l’ottimo “‘O Diavolo”. Di fronte a un monumento come Enzo Gragnaniello c’è solo da inchinarsi, però Francesco ha pubblicato un lavoro da brividi, intriso di sensibilità nonché della giusta dose di follia. Ecco perché dico che avrebbe dovuto spuntarla lui.
Chiudo con un’osservazione sulla sezione “Miglior opera prima”. Ritengo assurdo che tra i finalisti non vi sia stato “Un elefante nella stanza” di Ivan Talarico ma, soprattutto, “Figurati l’amore” di Mox, per me l’esordio discografico più entusiasmante degli ultimi mesi alla luce della freschezza lessicale e della contemporanea maturità globale che ne ha contraddistinto la scrittura così come la produzione. Fosse stato per me avrebbe dovuto vincere a mani basse. Complimenti in ogni caso a Fulminacci, ugualmente bravo e dalla poetica riconoscibile. I gusti sono gusti, non si può pretendere che tutti vedano le cose come le vediamo noi. Un domani me ne farò una ragione.
Alessandro
Luglio 11, 2019
Sono mesi che ti dico che devi sentire assolutamente Fulminacci perché è molto interessante… È dammi retta, no!?!! Sei proprio un papero!
Luglio 14, 2019
Proprio negli ultimi giorni ho dato un ulteriore ascolto ai suoi brani. Non è male, però ci sono autori assolutamente migliori. Onestamente non avrei dato a lui la Targa Tenco come “Miglior Opera Prima”. Già il disco di Mox è molto più interessante e maturo. Ti ricordo che nel 2016 lo stesso premio lo vinse Motta con “La fine dei vent’anni” e ciò dovrebbe far riflettere.
Grazie per il commento.