Pop sapiente e scelte artistiche impeccabili, tutta la grandezza di Robbie Williams

A gennaio sono andato a vedere al cinema “Better Man”, interessante film di Michael Gracey incentrato sulla vita di Robbie Williams. Senza entrare troppo nel dettaglio riguardo il film, che tra l’altro non mi sembra abbia sbancato al botteghino, passando invece abbastanza inosservato, la visione di questo particolare biopic mi ha fatto riflettere a fondo sulla carriera di questo artista non gradito a tutti, sulle scene dall’inizio degli anni Novanta anche se appena cinquantenne.
Incluso un po’ per caso nei Take That, dove non ha mai avuto modo di esprimersi in quanto puro performer, verso la metà dell’ultimo decennio del secolo scorso Robbie Williams si lanciò in un’avventura assai improbabile, ovvero avviare un percorso solista fatto di dischi e di concerti. Un’operazione estremamente difficile, proprio perché fino a quel momento non si era affatto percepito il suo talento nel fare musica: troppo “dietro” nella band, impalpabile la sua vocalità.
Nei Take Tath Gary Barlow curava le musiche e i testi, perciò nessuno era in grado di notare le sue qualità autoriali, anche se Peter Robert Williams (questo il suo vero nome) era solito appuntarsi un’infinità di versi su un quadernino che portava sempre con sé. Eppure, lavorando sodo al fianco di un compositore fenomenale come Guy Chambers, trovò la dimensione giusta per mettere a fuoco le sue valide idee e tirarci fuori le canzoni da inserire nell’album d’esordio “Life Thru a Lens”.
Nonostante l’inizio un po’ difficile, nel giro di pochi mesi Robbie Williams riuscì a mettere in moto una macchina incredibile, approfittando anche dell’apprezzamento smodato per il singolo
Angels: un successo travolgente, la sua faccia su tutte le copertine delle riviste dell’epoca, singoli e dischi in vetta alle classifiche, richieste sempre più ricorrenti di date in giro per il mondo. Si può dire quello che si vuole, cioè che in fin dei conti si tratta di un cantante pop, ma quello che Robbie Williams è stato in grado di fare resta superlativo, unico, invidiabile, irripetibile.
Assai difficile, in passato come oggi, trovare un artista sulla cresta dell’onda a nemmeno trent’anni, con già decine di milioni di dischi venduti e un repertorio estremamente ampio: tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, a forza di pubblicazioni fortunate e acclamate, il cantante inglese classe 1974 si guadagnò consensi enormi, sbaragliando la concorrenza.
Ai tempi di “Sing When You’re Winning” ed “Escapology”, ma anche del bellissimo “Intensive Care” del 2005, non ce n’era per nessuno: era lui a comandare. Si parlava solo di lui. Quando arrivava il momento di pubblicare un album, le radio e le televisioni cominciavano a diffondere a ripetizione il singolo apripista. Lo si veniva a sapere eccome che era in uscita un nuovo album di Mr. Williams.
Poi, gradualmente, i problemi personali, i brutti vizi, le compagnie sbagliate e la difficoltà a reinventarsi di continuo, l’hanno via via allontanato da quella posizione così centrale che si era conquistato nel mainstream mondiale. Impossibile, effettivamente, tenere certi ritmi per troppo tempo.
Di seguito ne ha ancora, per quanto i gusti musicali delle nuove generazioni siano cambiati e lui oggi sia meno prolifico rispetto a vent’anni fa. Però, a detta di tutto, attraverso canzoni potenti e immediate questo ragazzo ha fatto mangiare la polvere a tanti colleghi.
E il film “Better Man”, che invito tutti a guardare, fa comprendere quanto sia stato immenso con la sua voce, con la sua scrittura e con la sua musica sempre grintosa e sfaccettata. Una leggenda, che piaccia o no.

Alessandro

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