Quando ho nostalgia di certe sonorità rock degli anni Novanta finisco spesso per mettere su un disco degli Elettrojoyce, band romana capace di ispirare tanti gruppi nati a partire dall’inizio del nuovo millennio.
Capitanata dal grande Filippo Gatti, per me una delle migliori penne in assoluto del panorama italiano, con appena tre album pubblicati nel giro di pochi anni una band del genere è stata in grado di attirare su di sé l’attenzione di tante persone dal palato raffinato, incuriosite da un sound ruvido ma al contempo ricercato, elaborato.
Basso, chitarra e batteria, con qualche rara incursione di pianoforte: pochi strumenti per costruire delle musiche micidiali, esaltate da arrangiamenti sempre ben calibrati. Credo che la bravura degli Elettrojoyce sia stata tutta nell’assecondare i propri gusti musicali, così da conquistare il pubblico tramite un approccio spontaneo e istintivo, e quindi vero, autentico, coerente.
E a dare qualcosa in più allo stile della band, poi, dei testi magistrali firmati e cantati dal leader, ovvero il già citato Filippo Gatti, voce e basso del trio, divenuto quartetto poco prima dello scioglimento.
Qualcosa di magnifico e ipnotico: ascoltando con attenzione “Elettrojoyce”, “Elettrojoyce II” e “Illumina”, i loro tre dischi, si riesce a notare tutto il talento e tutta la maturità di un progetto musicale di livello. Delicati nelle ballate e negli episodi acustici, taglienti, quasi abrasivi, nei pezzi più infuocati e più veloci: quanta meraviglia è riuscita a regalarci una formazione simile. Tanta, troppa. Non quantificabile, indescrivibile.
Indubbiamente si tratta di un gruppo che ha raccolto poco, o comunque meno di quanto avrebbe meritato. Eppure, da quel che mi è stato raccontato, quando erano in attività gli Elettrojoyce il loro seguito lo avevano. E in effetti so di tanti concerti non solo a Roma, ma anche in altre parti d’Italia.
Certo, alla ribalta non ci sono mai saliti. E i palazzetti non li hanno mai riempiti. E di dischi non ne hanno venduti a tonnellate. Tuttavia il loro nome ha continuato a circolare anche dopo il 2000, e questo significa che un segno, in qualche modo, questa formidabile band l’ha lasciato. Segno di una grandezza tangibile, riconosciuta da molti appassionati.
Oggi ci godiamo il grande Filippo Gatti, che quando decide di suonare dal vivo non manca mai di rispolverare qualche gioiello composto e registrato con quel gruppo di cui è stato la mente e l’anima.
Balena, Mediana, Girasole, Licenziare, L’evoluzione dei pesci, Nebula. Che capolavori. Che tempi straordinari. Impossibile criticare chi li rimpiange.
Alessandro
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