La coerenza della Marlene (mai un passo falso in trent’anni di carriera)

Non potrei mai escludere i Marlene Kuntz da un’ipotetica classifica relativa alle dieci migliori rock band italiane di sempre. Per quanto mi riguarda, il gruppo capitanato da Cristiano Godano, che appena un anno fa ha salutato il grande Luca Bergia, resta ancora oggi una garanzia di qualità.
Da più di trent’anni sulle scene, considerando che la pubblicazione del loro album d’esordio “Catartica” risale al lontano 1994, questi ragazzotti di Cuneo continuano a pistare con la grinta e l’intensità dei primi tempi. Hanno attraversato diverse stagioni del rock, e al di là del costante alternarsi di tendenze e di gusti sono rimasti in carreggiata con le proprie forze, procedendo puntualmente a testa alta senza mai pensare di mutare il proprio sound in base alle richieste del mercato.
Niente scelte discutibili, niente rivoluzioni indotte da presunti esperti della discografia: i dischi pubblicati da “Catartica” in poi sono stati sempre concepiti in maniera chiara, attraverso sinuosi intrecci chitarristici e groove notevoli costruiti dalla sezione ritmica, purtroppo ormai priva del già citato Bergia.
Adoro tutti i loro lavori in studio, a partire da “Catartica” e dal successivo “Il vile” del 1996, capolavoro incredibile, frutto di una scrittura sfrontata eppure ragionata al tempo stesso. Poi sono venuti altri album di spessore, come “Ho ucciso paranoia”, “Che cosa vedi”, “Senza peso” e via dicendo. All’interno, inutile sottolinearlo, canzoni magistrali, contraddistinte da testi estremamente ricercati confezionati con la solita maestria da Godano, penna rara nel panorama musicale italiano (il suo talento in qualità di paroliere è emerso anche nell’incantevole “Mi ero perso il cuore”, disco solista rilasciato nell’estate del 2020).
Nel 2007, anno della pubblicazione di “Uno”, disco molto delicato ma tutt’altro che piatto ed evanescente, i loro fan più accaniti ci diedero parecchio giù con le critiche, non condividendo certi suoni e certe tematiche affrontate nei dodici brani in scaletta. Un atteggiamento, quello dei loro ammiratori, che non compresi affatto, ritenendo anche “Uno” un lavoro eccellente, magari non immediato ma apprezzabile dopo una lunga serie di ascolti.
D’altronde la buona musica ha bisogno di pazienza per essere assimilata e compresa. Ma questo è un concetto assai difficile da far comprendere a chi va sempre di fretta e non si impegna neppure un poco a capire il perché di determinate scelte stilistiche. Insomma, meglio lasciar perdere i pareri di quelli che si ritengono grandi intenditori di musica pur avendo dieci dischi originali in casa e una quantità spropositate di file musicali nei propri hard-disk.
In ogni caso, dopo “Uno” i Marlene sono tornati ad alzare i volumi delle chitarre e a darci dentro con le distorsioni, basti pensare ad alcuni album usciti in seguito (da citare almeno “Ricoveri virtuali e sexy solitudini” del 2010 e “Lunga attesa” del 2016). Devo risentire bene il loro ultimo lavoro, ovvero “Karma Clima”, uscito neanche due anni fa, ma da quel che ricordo anche quel disco mi aveva convinto.
Si tratta di una band più che seria, costituita da autentici professionisti, gente con la testa sulle spalle. Da non dimenticare poi la loro bravura dal vivo (lo dice uno che di concerti di Godano e soci ne ha visti tanti). Intensità, precisione, estrema originalità nella costruzione delle scalette: veri esperti in materia, veri artisti abili a reinventarsi e a non apparire mai troppo ripetitivi. Non credo affatto sia poco.

Alessandro

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *