Il Mondiale nippo-coreano e la sciagurata spedizione azzurra

Allenata all’epoca da Giovanni Trapattoni, subentrato a Dino Zoff dopo le dimissioni di quest’ultimo arrivate in seguito alla bruciante sconfitta contro la Francia nella finale degli Europei di due anni prima, l’Italia si presentò ai Mondiali di Corea e Giappone del 2002 come una delle squadre candidate a trionfare. Al di là del cammino piuttosto agevole nel girone di qualificazione, i calciatori selezionati in vista della spedizione nella lontana Asia erano assai forti.
Pur non essendoci in rosa un campione indiscusso del calibro di Roberto Baggio, non convocato dal Trap per ragioni tuttora poco chiare, quell’Italia appariva agli occhi di tutti come un
dream team, coperto in ogni reparto e, per assurdo, con dei problemi di abbondanza. Giusto per fare un esempio, l’attacco era costituito da fenomeni assoluti, cioè prime e seconde punte da far invidia a chiunque e, purtroppo, non schierabili in blocco.
Da Francesco Totti ad Alessandro Del Piero, da Christian Vieri a Filippo Inzaghi: pedine di una classe infinita, gente che avrebbe fatto la fortuna di qualsiasi rappresentativa. Questi fenomeni erano a disposizione del Trap, che nelle gare ufficiali e nelle amichevoli precedenti all’inizio della kermesse aveva cercato di individuare l’assetto tattico giusto per avere un attacco di spessore pur senza provocare un eccessivo sbilanciamento in avanti.
In Corea e in Giappone il cammino dei nostri iniziò nel migliori dei modi, con una vittoria netta contro l’Ecuador nella gara d’esordio. Un Vieri impeccabile fece il suo dovere nel corso di un match disputato all’interno di uno stadio avveniristico, siglando una doppietta fondamentale per partire con il piede giusto e dare un segnale preciso alle altre nazionali intenzionate a riportare a casa l’ambita Coppa del Mondo.
La seconda gara del girone vide gli azzurri sfidare la Croazia, che quattro anni prima, in Francia, sfiorò per un niente la finale. Passammo in vantaggio noi sempre con il super Bobo, e dopo la sua marcatura in tanti cominciarono a dare per scontato un passaggio agli ottavi come prima classificata del primo girone, magari addirittura a punteggio pieno (la terza e ultima sfidante sarebbe stata il Messico). Purtroppo i croati ci fecero un bello scherzo, ribaltando il risultato grazie a due reti amarissime che fecero comprendere come i vari Paolo Maldini e Fabio Cannavaro non fossero in grado di lasciare puntualmente immacolata la rete della porta difesa da un certo Gianluigi Buffon.
L’accesso alla fase a eliminazione diretta del torneo non fu messo in discussione nemmeno dal deludente pareggio contro il Messico, che permise di incamerare il quarto punto necessario per approdare agli ottavi. Di certo due prestazioni di fila poco convincenti diedero ai tifosi italiani la sensazione che, nonostante la gran quantità di campioni arruolati, qualcosa in quella squadra non funzionasse. Poca concretezza davanti ed evidente instabilità dietro: per quanto si trattasse di una nazionale di indubbio livello, mancava l’alchimia giusta per fare la differenza e imporre il proprio gioco.
Visto quanto dimostrato sul campo contro Croazia e Messico, la prospettiva di dover sfidare la Corea del Sud agli ottavi non permetteva a nessuno di fare sogni tranquilli: gli asiatici avrebbero sfruttato il fattore campo e la spinta dei propri tifosi per destabilizzare i nostri, sperando di vestire i panni di Davide, e non di Golia.
Così arrivò il fatidico 18 giugno, giorno dell’attesa gara. Nello Stivale, decine di milioni di italiani si piazzarono davanti allo schermo in una calda mattina d’estate. Contemporaneamente, a distanza di migliaia di chilometri, due squadre radicalmente diverse in campo, avvolte da un caos allucinante generato dal pubblico agguerrito presente sugli spalti: un contesto per nulla favorevole per i nostri, consapevoli di dover dare il massimo per passare ai quarti.
Il match partì nel peggiore dei modi, perché un certo Byron Moreno, incaricato di dirigere l’incontro, fischiò subito un rigore ai padroni di casa. Grazie al cielo il grande Gigi Buffon riuscì a neutralizzare il penalty, scegliendo l’angolo giusto al momento della partenza del tiro dagli undici metri.
Poi, d’un tratto, le cose iniziarono a girare per il verso giusto, perché il Bobone nazionale fece centro di testa, svettando più in alto di tutti sugli sviluppi di un calcio d’angolo. In pochi, forse, pensarono che sarebbe finita così, con un successo di misura.
La difesa dell’Italia si era già dimostrata penetrabile, e nella ripresa i coreani arrivarono al pareggio, che per gli azzurri fu una doccia gelata. Da lì iniziò un’altra partita, fatta di tante occasioni da una parte e dall’altra, in un modo o nell’altro non concretizzate né dagli italiani, né dagli asiatici.
Come prevedibile, anche in seguito a un arbitraggio scandaloso, si accesero gli animi e aumentò il nervosismo. L’Italia fallì più volte il colpo del ko, e si ritrovò incredibilmente in dieci per l’espulsione inconcepibile di Totti. Quell’episodio lì lasciò tutti a bocca aperta, e fece intuire come da lì in avanti le possibilità di passare il turno si sarebbero ridotte in maniera progressiva.
Il guizzo di un centravanti destinato a giocare per parecchio tempo nel nostro Paese, materializzatosi nel corso dei tempi supplementari, ci fece salire sul primo aereo diretto in Italia. Un vuoto sconfinato si fece largo nel petto di una quantità spropositata di sostenitori azzurri, a partire da quelli pronti ad organizzarsi per vedere la partita dal vivo in uno stato, la Corea del Sud, non proprio vicino a noi.
Tutti i sogni di gloria vennero spazzati via da un colpo di testa letale, un’incornata tentata approfittando di un lancio morbido e preciso dal versante di sinistra. Addio finale, addio ipotesi di festeggiamenti: la Corea ci trafisse con un cinismo atroce, difficile da descrivere.
Il Mondiale sarebbe andato avanti, e quella Corea sulla carta mediocre avrebbe addirittura finito per giocarsi il terzo posto contro una Turchia piena di muscoli, menti fine e piedi buoni. A Yokohama avrebbero gioito i calciatori brasiliani, abili a domare i leoni tedeschi, forse alla fine di un ciclo.

Alessandro

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