Negli ultimi dieci, dodici anni ho ascoltato praticamente tutti gli album in studio di Nick Cave, artista incredibile che nel corso della propria carriera ha composto una quantità esagerata di canzoni strepitose. Prendendo in considerazione i dischi incisi subito dopo la fine dei Birthday Party, con i quali diede di fatto avvio al suo glorioso cammino musicale, reputo ancora oggi “The Boatman’s Call” il suo lavoro maggiormente intenso, profondo e ispirato.
Chiaramente si tratta di una considerazione del tutto personale, perché magari c’è chi va pazzo per le produzioni rilasciate nel corso degli anni Ottanta o all’inizio dei Novanta. “The Boatman’s Call”, composto da dodici tracce e realizzato assieme agli immancabili e imprescindibili Bad Seeds, uscì nel 1997, quindi il buon Nick era sulle scene già da parecchio tempo e di sperimentazione ne aveva fatta tanta, soprattutto a livello musicale, come dimostrato da vari lavori in bilico tra wave, dark, rock e cantautorato.
Con “The God Son”, “Henry’s Dream” e “Murder Ballads” aveva un po’ “addolcito” il sound, continuando comunque a coltivare una scrittura tagliente e imprevedibile. Arrivato a quarant’anni esatti, quindi nel pieno della maturità, il genio australiano raccolse una manciata di canzoni vagamente intimiste e romantiche e, proprio con i Bad Seeds, pensò bene di registrarle in modo quasi essenziale, costruendo atmosfere calde e “confidenziali”.
Ecco allora un lavoro ricolmo di ballate, di pezzi lenti, rilassanti, dolci. Roba da far venire i brividi e commuovere: almeno per il sottoscritto, “The Boatman’s Call” è una sorta di testamento di Mr. Cave. Tutto è incredibilmente equilibrato, nel senso che si respira un’atmosfera pacata, tipica di chi è in pace con se stesso e sta navigando in acque sicure e guarda l’orizzonte con ottimismo.
“The Boatman’s Call” è il classico album di cui ho bisogno per rilassarmi, non a caso lo metto nello stereo spesso di sera, dopo una lunga giornata di lavoro in cui necessito di tranquillità pura. Lo trovo un album rincuorante, perché i pezzi che si trovano al suo interno hanno il potere di trascinarmi in una condizione di benessere, di armonia assoluta.
Non credo proprio di essere l’unico ad adorare così tanto un disco simile, che quando vide la luce io avevo appena nove anni. Per me, in “The Boatman’s Call” c’è il Nick Cave più saggio e in forma in assoluto. La sua voce unica plana con disinvoltura su musiche piene, dense, frutto di una sapiente commistione di strumenti per lo più acustici.
Into My Arms, Lime Tree Arbour e There is a Kingdom sono solo alcuni dei brani che più amo di una raccolta che è un qualcosa di straordinario (non posso nascondere un vero e proprio debole per (Are You) The One That I’ve Been Waiting For?). Un disco magistrale, impeccabile, di livello assoluto, senza sbavature o episodi poco convincenti.
Ogni ascolto comporta una scarica di sussulti, di battiti prepotenti, di pulsioni nelle viscere. È come essere trasportati altrove, entrare in una condizione sognante e beata. Indubbiamente un qualcosa che mi rasserena come poche altre cose al mondo.
Alessandro
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