Pur avendo pubblicato appena quattro dischi tra il 1992 e il 2000, i Rage Against the Machine sono considerati ancora oggi uno dei più grandi gruppi rock di sempre. Su questo, ovviamente, nulla da obiettare: il loro repertorio, per quanto non eccessivamente ampio, è qualcosa di davvero notevole e potente.
Una band unica quella capitanata da Zack De La Rocha, capace di irrompere sulla scena musicale internazionale più di trent’anni fa con una proposta singolare, sorprendente, impeccabile. Il groove costruito all’epoca dalla sezione ritmica del complesso americano, esaltato dalle chitarre roboanti del mitico Tom Morello e dal cantato graffiante dello stesso De La Rocha, finì ben presto per mettere d’accordo tutti.
Grazie a una personalità non indifferente e a uno stile netto e riconoscibile, durante gli anni Novanta i Rage riuscirono ad attirare l’attenzione di tanti e differenti ascoltatori: soprattutto nella prima metà di quel decennio, anche persone molto distanti dal loro sound si avvicinarono al loro modo di sviluppare il rock, ovviamente contaminato con tanto metal e tanto rap. Un nome che circolò assai, il loro, e che non venne dimenticato da un giorno all’altro.
È vero che erano altri tempi, ma già agli esordi i Rage si fecero largo con nonchalance nel mainstream. E tutto ciò accadde attraverso una musica di certo estrema, accattivante, tagliente, basata su ritmi sostenuti e su versi piuttosto diretti declamati da un De La Rocha mai prevedibile né stucchevole.
Il primo album in studio, ovvero “Rage Against the Machine”, ha fatto scuola, conquistando una quantità impressionante di giovani, tutti folgorati da quella scarica di riff concepiti da Morello, chitarrista fenomenale, versatile, preparatissimo. Il sottoscritto ha cominciato ad accostarsi alla musica di questi ragazzotti sentendo proprio il lavoro in questione.
Difficile dimenticare le sensazioni provate nel contemplare la potenza inaudita di Bombtrack e Killing in the Name, le prime due tracce in scaletta destinate a divenire degli autentici inni generazionali. “Rage Against the Machine” non è stato affatto una meteora, tantomeno un episodio isolato.
I tre lavori confezionati tra il 1996 e il 2000, cioè “Evil Empire”, “The Battle of Los Angeles” e “Renegades”, sono l’evidente testimonianza di una creatività importante, legata alla necessità di parlare in maniera schietta alle persone e di mischiare le carte in tavola. Il loro scioglimento, arrivato proprio dopo “Renegades”, ha fatto male a centinaia di migliaia di fan, tuttavia i RATM si sono ritrovati più volte sul palco, liberando adrenalina e carica.
Per quanto mi riguarda, non sono uno di quelli che spera in un quinto album da parte di questo gruppo. Con quattro lavori in studio, De La Rocha e soci hanno detto tanto. Diciamo che ci hanno lasciato un bottino estremamente ricco, da sentire e risentire con attenzione, dando il massimo tramite una professionalità invidiabile.
Positivo il fatto che, anche di recente, abbiano tenuto dei concerti. Evidentemente hanno bisogno di quello, cioè di salire sui palchi e di dominarli, facendo impazzire il pubblico. La scrittura, a quanto pare, non gli dà le stesse vibrazioni.
Alessandro
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