Ultimamente abbiamo salutato tanti grandi della musica internazionale. Mi viene in mente il grande Charlie Watts dei Rolling Stones, ma anche l’immenso Jeff Beck, scomparso in maniera del tutto improvvisa e sciagurata.
L’elenco è lungo, perché in questo senso non ci si può nemmeno dimenticare di David Crosby, di Harry Belafonte e di Wayne Shorter. E poi, poche settimane fa, la tragica notizia della morte di Tina Turner: un colpo potente e inaspettato, di quelli che mandano al tappeto.
Pensavo spesso a lei e al suo silenzio perenne, dovuto soprattutto a un’età importante, motivo principale di un addio alle scene dato tanto tempo fa. Non sapevo tuttavia che le sue condizioni di salute fossero tutt’altro che buone, per questo sono rimasto spiazzato quando gli organi di stampa hanno iniziato a dare comunicazione del suo decesso.
Effettivamente ottantatré anni non sono pochi, e se si considerano le tante battaglie combattute di recente da questa grande artista americana, nata nel Tennessee nel lontano 1939 e da decenni residente in Svizzera, si comprende come probabilmente fosse arrivato per lei il momento di andare via, di salutarci. Chissà come avrà vissuto gli ultimi mesi della sua vita, se avesse ancora voglia di lottare o se volesse invece piantarla di stare male e di soffrire.
Sono discorsi complicati e forse un po’ banali, di quelli che lasciano il tempo che trovano. Al di là di tutto, di come sono andate le cose, c’è la sensazione di aver perso un autentico monumento della musica rock.
Tina ha avuto una carriera lunghissima, difficile in più frangenti ma, nel complesso, piena di soddisfazioni. La grande ripartenza negli anni Ottanta dopo una fase di declino, sancita soprattutto dalla pubblicazione dell’incredibile disco “Private Dancer” del 1984, le permise di ottenere la giusta considerazione da parte della critica: una stima solida e duratura, senz’altro legittima e meritatissima.
Dopo gli inizi insieme a Ike Turner, intorno alla metà degli anni Settanta questa performer grintosa e coinvolgente fu costretta a ripartire da zero, a trovare una nuova strada artistica, a conquistarsi nuovi fan. Un percorso indubbiamente complicato e faticoso, compiuto però con sapienza e tenacia insieme ai collaboratori giusti.
“Private Dancer” fu davvero un disco importante per lei, un riscatto notevole dopo album non proprio fortunati, seppur validi e di qualità. Andarono bene pure i successivi “Break Every Rule” e “Foreign Affair”; lavori immediati, sicuramente con una forte impronta pop e contraddistinti da particolari soluzioni sonore tipiche degli anni Ottanta.
Grazie a questi tre dischi, la grande Tina riuscì a godere di grande fama anche nel decennio successivo, meno prolifico a livello discografico ma pieno di tour trionfali. A proposito di anni Novanta, il mio ricordo torna sempre alla canzone che mi permise di conoscere Tina e di contemplarne il carisma, vale a dire Cose della vita di Eros.
Era il 1997, e quell’anno Eros decise di pubblicare un greatest hits con un paio di inediti e un bel po’ di successi, nella maggior parte dei casi risuonati e riarrangiati. Tra i “ripescaggi” ci fu pure Cose della vita, incisa appena quattro anni prima e inclusa in quel “Tutte storie” che ho semplicemente consumato a suon di ascolti.
Per dare maggiore energia a un brano già comunque movimentato e dalle chiare tinte rock, Eros decise di coinvolgere la grande Tina, che in studio tirò fuori un’interpretazione sublime. La nuova versione di Cose delle vita convinse tutti, tanto da essere estratta dall’album “Eros” in qualità di singolo, spopolando tanto in Italia quanto all’estero.
Ho ancora i brividi nel ricordare il bel videoclip che confezionarono all’epoca: Tina ormai a un passo dai sessanta ma con una presenza unica, sensuale e raggiante. Una coppia artistica da urlo, e lei destinata a rapirmi e a catapultarmi nel suo mondo musicale dannatamente speciale.
Alessandro
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