“Racconti di Pietroburgo”, incantevole opera postuma di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ risalente alla metà dell’Ottocento, è uno dei primi libri da “grandi” che ho letto in età adolescenziale. Credo di essermici imbattuto tra il primo e il secondo superiore, probabilmente durante le vacanze natalizie a cavallo tra il 2002 e il 2003 oppure, cosa forse più probabile, durante l’estate del 2003. Ora che ci penso, però, tutto ciò potrebbe essersi anche verificato tra il secondo e il terzo anno di liceo, e risalire al periodo esatto sarebbe decisamente complicato.
Fatto sta che la lettura di un testo simile, imprescindibile per chi ama i grandi classici della letteratura mondiale, non avvenne per mia scelta. Fu la mia insegnante di Italiano di allora, la carissima Simonetta Marino, a cui voglio un bene enorme e con cui sono tuttora in contatto, a inserirlo in una piccola lista di testi da leggere in vacanza. Se la memoria non m’inganna, in quell’elenco era presente anche “Sulla strada” (“On the Road”) di Jack Karouac, che comprai a scatola chiusa pur conoscendo solo vagamente l’autore e il contenuto del volume.
Insomma, forse perché dotato di un buon gusto a livello letterario, optai per questi due capisaldi della letteratura di tutti i tempi. Di “Racconti di Pietroburgo”, che vorrei tanto rileggere in questa fase della mia vita per apprezzarlo meglio, ricordo uno stile estremamente ammaliante, qualcosa di potente e leggero al tempo stesso in grado di immergere il lettore in un tempo remoto ma ugualmente suggestivo e affascinante.
Nonostante una forma abbastanza articolata, tipica del modo di scrivere dei russi, impiegai poco tempo a completare la lettura del volume. Fu un momento importante, perché con le storie di Gogol’ entrai in un nuovo mondo. D’un tratto cominciai a notare delle soluzioni narrative per me totalmente inedite eppure d’impatto.
Una penna fenomenale quella di Gogol’, capace di stregare, di stupire, di sedurre, di far sognare. A proposito di “Racconti di Pietroburgo”, qualcuno tende a parlare di mondo “capovolto” e di una Pietroburgo “enigmatica” e “surreale”. Concordo in pieno, perché per quel che riesco a ricordare nel testo in questione c’è effettivamente un qualcosa di onirico, senz’altro affascinante e senza tempo.
Peccato che non conservi più la copia acquistata circa vent’anni e a cui sono stato sempre legato. Credo di averla persa durante uno dei tanti traslochi fatti in questi anni. Pazienza, vorrà dire che avrò un motivo in più per ricomprare “Racconti di Pietroburgo” e rileggerlo dall’inizio alla fine, così da immergermi in quei contesti unici, da lui abilmente immaginati ed evocati.
Alessandro
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