Atmosfere uniche, sonorità suggestive, una costruzione esemplare. Ho da sempre un debole per I Can’t Tell You Why dei mitici Eagles, band con cui iniziai a prendere confidenza già in tenerissima età vista la grande passione dei miei genitori per la loro musica (mio padre ha quasi tutti i loro dischi in studio, che in casa e in macchina hanno risuonato innumerevoli volte nelle situazioni più disparate).
Indubbiamente gli Eagles diedero il loro meglio nei primi album, quindi da “Eagles” del 1972 a “Hotel California” del 1976. I Can’t Tell You Why si trova in “The Long Run”, pubblicato nel 1979 e di fatto ultima produzione prima della scioglimento seguito poi da una reunion avvenuta intorno alla metà degli anni Novanta. Non lo sento da parecchio tempo, ma per quel che ricordo si tratta di un disco niente male.
Le sonorità patinate e invadenti che avrebbero contraddistinto il decennio successivo cominciavano a farsi largo un po’ in tutto il mondo già in quel periodo, anche se pure sul finire degli anni Settanta la celebre band americana continuava a sviluppare una musica di matrice folk rock caratterizzata da estrema raffinatezza ed eleganza. I Can’t Tell You Why è una delle perle assolute di “The Long Run” e, oserei aggiungere, dell’intero repertorio del gruppo.
Rapiscono quel groove magnifico, quel basso acquatico, quel giro di accordi di chitarra sublime, magistrale, quasi funky. Il cantato di Timothy Bruce Schmit, bassista del complesso di Los Angeles, fa venire i brividi già nelle strofe, per non parlare dell’inciso. Tutte le volte che ascolto il brano vado in tilt. Non ci capisco più nulla, perdo la testa. Fatico a capacitarmi di tanta bellezza.
A confermare la perfezione della traccia, che sfiora quasi i cinque minuti di durata, quel solo finale di chitarra elettrica che manda al tappeto l’ascoltatore amante del genere. Le note prese da Glenn Frey sono clamorose. Poche ma letali. È un assolo che parte in maniera tranquilla e pacata, interrotto una prima volta da un nuovo ritornello, e che poi si riprende il suo spazio per straripare progressivamente e incessantemente come un fiume in piena.
Devastante, questo è certo. Qualcuno ricorderà la somiglianza tra questo solo e quello del brano di Marco Masini intitolato Fino a tutta la vita che c’è. Fu proprio mio padre, circa vent’anni fa, a farmi notare come Masini avesse in qualche modo omaggiato il lavoro di Frey in quel suo bellissimo brano, contenuto nell’album “Scimmie” del 1998. In quel caso fu Mario Manzani a occuparsi dell’esecuzione, che invito chiunque ad andare ad ascoltare.
Detto ciò, penso sia impossibile non ritenere I Can’t Tell You Why un capolavoro. Lo è senza ombra di dubbio, con il suo stile ammaliante e la sua dolcezza difficile da spiegare. Ode agli Eagles per averci lasciato gemme simili.
Alessandro
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