Circa vent’anni fa, come tanti altri ragazzi della mia generazione, ascoltavo i Blue. Non ero un fan e non compravo i loro dischi, ma se mi capitava di sentire un loro brano alla radio o alla televisione rimanevo sintonizzato, evitando di cambiare canale o frequenze. Credo che nel pop internazionale dei primi Duemila abbiano piazzato qualche hit interessante, o quantomeno gradevole.
Nell’estate del 2005, quando ormai avevo cominciato a seguire con estrema attenzione le intricate dinamiche della discografia italiana ed estera, venni a sapere dell’imminente uscita del primo album solista di Lee Ryan, uno dei componenti della celebre boy band inglese. Delle quattro voci del gruppo, la sua era ed è certamente la più valida, soprattutto per quella lieve inclinazione soul capace di darle qualcosa in più.
Il disco, intitolato semplicemente “Lee Ryan”, venne pubblicato nel mese di agosto. Poche settimane prima, le radio e le televisioni cominciarono a trasmettere Army of Lovers, il primo singolo estratto da quel lavoro, contenente complessivamente dodici tracce originali. Il comunicato ufficiale diffuso dai siti d’informazione, parlava di una ballad delicata e dall’impianto acustico, breve nella durata ed estremamente immediata.
Tali caratteristiche non fecero altro che incuriosirmi, soprattutto considerando i miei gusti e la mia passione per una forma di canzone essenziale e diretta al tempo stesso. Ricordo che ero a Pescara in quel periodo, come mio solito intento a rilassarmi e a divertirmi tra bagni in acqua, partite in spiaggia e serate fantastiche lungo la riviera con gli amici. E proprio a Pescara, una mattina prima di raggiungere la comitiva al lido, vidi per la prima volta in televisione il videoclip ufficiale del pezzo.
L’ascolto fu emozionante. Apprezzai subito la scrittura della canzone, contraddistinta da brevi strofe e da un dolce ritornello destinato a farla decollare. Notai la produzione elegante, poco in linea con gli standard del tempo: non era propriamente una hit estiva, bensì un tentativo coraggioso di conquistare l’ascoltatore attraverso un modo di comporre piuttosto elementare eppure sontuoso, raffinato.
Insomma, Army of Lovers mi convinse in pieno. Nelle settimane e nei mesi successivi la “cercai” più volte sui principali canali di diffusione della musica. Mi piaceva molto pure il videoclip, girato con una tecnica interessante in una location da favola. Qualcuno notava pure una certa somiglianza tra me e lui, ed effettivamente il colore e il taglio dei miei capelli erano pressoché identici ai suoi (nessuno dei due portava la barba).
Un anno e mezzo fa sono riuscito ad acquistare “Lee Ryan”, le cui copie in format cd sono semplicemente introvabili. Non credo sia un disco mediocre. Lo trovo invece gradevole. Lo stile è fondamentalmente pop, quindi nulla di sperimentale. Tuttavia, contiene una manciata di pezzi niente male. Army of Lovers, che tra l’altro è la traccia di apertura, ha però una marcia in più. Non ci sono componimenti simili nell’album, ed è un peccato.
Fossi stato in lui, avrei provato a tirare fuori un disco di matrice acustica, con tanti altri pezzi poco arrangiati e accompagnati prevalentemente da chitarre acustiche. Sarebbe il caso di dire che un brano come Army of Lovers avrebbe dovuto rappresentare il punto di partenza dell’intero album. Peccato che vennero fatte altre scelte.
Alessandro
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