I Subsonica hanno scritto pagine straordinarie della musica italiana attraverso la pubblicazione di album sontuosi come il primo “Subsonica”, lo straripante “Microchip emozionale” e l’avvolgente, magnetico “Amorematico”. Tre dischi magnifici, dati alle stampe in maniera consecutiva nell’arco di appena cinque anni. Lavori, opere, capaci di consacrarli, di permettere a un vasto pubblico di ammirare la loro ricerca sonora e la loro scrittura raffinata e incisiva al tempo stesso.
C’è tuttavia un disco, uscito esattamente quindici anni fa, per cui provo ancora oggi un’adorazione difficile da spiegare, tanto forte da sbalordirmi pure adesso. L’album in questione è “L’eclissi”, pubblicato nell’autunno del 2007 a circa due anni di distanza da “Terrestre”, una raccolta di inediti mai troppo amata ed elogiata dai fan della prima ora del celebre quintetto piemontese, in quell’occasione pronto a virare decisamente sul rock.
Perché tutta questa stima nei confronti di un album simile, da molti ritenuto cupo e pesante? La risposta è semplice: almeno per me, si tratta di un’opera particolarmente potente e ispirata, all’epoca della sua pubblicazioe non troppo capita dagli ascoltatori e dalla stampa. Per quanto sia passato tanto tempo dalla sua pubblicazione, ogni ascolto mi trafigge, lasciandomi puntualmente qualcosa di diverso.
Ricordo la mia grande curiosità verso “L’eclissi” nei giorni immediatamente successivi al suo arrivo nei negozi. Già da anni stimavo tanto la formazione torinese. Poi, poco dopo l’estate del 2007, le radio cominciarono a diffondere La glaciazione, scelto come singolo apripista per l’ideale seguito del già citato “Terrestre”. Fu una folgorazione, perché quel brano mi impressionava a livelli inimmaginabili.
Pur senza conoscerlo, intuivo le potenzialità dell’album: ero sicuro del fatto che avessero sfornato un’autentica bomba. La conferma mi arrivò una notte di dicembre di tre lustri fa. Mi trovavo in zona Ponte Milvio, a Roma, con altri due amici. Eravamo chiusi in macchina e avvolti dal fumo. Il conducente della vettura, Luigi, aveva nello stereo “L’eclissi”. Nonostante le nostre voci sovrastassero la musica, notai l’inconfondibile voce di Samuel e il sound ipnotico della band.
Gli chiesi maggiori informazioni e lui mi rispose prontamente: era il nuovo album dei ragazzi, fuori da poco. Gli chiesi di farlo ripartire dall’inizio e l’energia travolgente della traccia di apertura, vale a dire Veleno, mi stese. Non ci capii più nulla. Andai fuori di me. Qualcosa di sbalorditivo per le mie orecchie, attratte da una perfezione in termini di scrittura e produzione. Sentimmo quasi tutto l’album con assoluto trasporto.
Feci quindi passare appena una settimana per poi fiondarmi nella Feltrinelli di viale Giulio Cesare e accaparrarmi una copia de “L’eclissi”. Per giorni e giorni ascoltai soltanto quel disco. Non potevo resistere alla bellezza di brani del calibro de L’ultima risposta, Il centro della fiamma, Nei nostri luoghi, Alibi e Stagno. Pezzi straordinari, a mio avviso dei gioielli. Quelle atmosfere notturne, pervase da un’elettronica ruvida e tagliente, mi mandavano al manicomio.
Il 2007 e il 2008 non furono anni semplici per il sottoscritto. Eppure, devo ammetterlo, “L’eclissi” mi accompagnò continuamente in quei mesi pieni di dubbi e di apprensioni per il mio futuro. Anche adesso, risentendolo in casa, mi tornano in mente tanti momenti vissuti in quel periodo. Rivedo serate impegnative con gli amici, ma anche mattinate di sole sui testi universitari e piccoli dolori provocati da alcune ragazze incontrate lungo la mia strada.
Insomma, un album che ha rappresentato tantissimo per me. Perdermici dentro è un classico. Impossibile scordare i concerti della band visti proprio nel corso del 2008: le aperture con Veleno era tanta roba, come si dice a Roma.
Alessandro
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