Con l’album “Strada facendo”, pubblicato nel 1981, Claudio Baglioni si era riconfermato su livelli altissimi. Una qualità di scrittura crescente e sotto gli occhi di tutti, un sound brillante, musiche raggianti e potenti, cura maniacale per i dettagli: il compimento dei trent’anni era coinciso con una maturità importante, sicuramente rara nel panorama italiano.
Il successo straripante ottenuto nel decennio precedente, scandito da un numero impressionante di canzoni incredibili incise e pubblicate, non lo aveva appagato. Era ancora lì a correre, a rimboccarsi le maniche, a puntare sempre più in alto, a porsi nuovi obiettivi, a rimettersi in discussione. Aveva fame il grande Claudio, tanta da potersi divorare il mondo.
Il suo pubblico attento e rispettoso aveva compreso la sua evoluzione, legata a uno stile più dinamico e frizzante, aperta alla musica del tempo. Il lavoro fatto in Inghilterra con il londinese Geoff Wesltey aveva dato i suoi frutti, comportando un aumento di seguito, popolarità e successo.
Così, caricato ulteriormente dalla paternità arrivata l’anno successivo con la nascita del figlio Giovanni, capace di ispirargli una canzone fuori dal comune quale Avrai, il cantautore romano fece il pieno di affetto attraverso gloriosi concerti tenuti in tutta Italia e nei contesti più svariati, puntualmente affollati (da ricordare il live epico, proprio nel 1982, in una piazza di Siena stracolma). Le numerose uscite live terminarono per consentirgli di rimettersi a scrivere con calma, poiché era arrivato il momento di dare un seguito a “Strada facendo”, capace di superare abbondantemente il milione di copie.
In un periodo storico particolare, caratterizzato da crisi e tensioni a livello internazionale e da una modernità imperante, con un futuro al galoppo, ci furono gli stimoli giusti per comporre tanto e bene, sfruttando la sensibilità di Paola Massari, al suo fianco anche per coadiuvarlo a livello artistico. Di brani validi e ispirati ne arrivarono parecchi e in breve tempo, segno che la determinazione e l’entusiasmo fossero tangibili.
I testi, ovviamente di spessore, vennero elaborati e rifiniti a Monte Mario, presso il celebre Zodiaco, postazione unica per ammirare dall’alto Roma in tutto suo splendore. Soprattutto di mattina, l’allora giovane Claudio raggiungeva il locale, prendeva posto tra i tavolini e, godendosi una meraviglia pura, completava le proprie idee in un ambiente discreto ed elegante al tempo stesso. Secondo voci di corridoio, proprio per questa consuetudine il disco si sarebbe dovuto intitolare “Un bar sulla città”.
Per registrare, il buon Claudio tornò nel Regno Unito. Ancora una volta al Manor di Oxford e al Town House di Londra, senza però affidarsi all’esperienza del già citato Westley: produzione curata esclusivamente da lui, con un formidabile Celso Valli chiamato a dar manforte per gli arrangiamenti.
La lavorazione, segnata dalla solita meticolosità, andò bene. Ci vollero quasi quattro anni per tirare fuori il successore di “Strada facendo”, trainato dall’omonimo, travolgente singolo scritto per diventare leggenda. Alla fine, comunque, “La vita è adesso” vide la luce. Le copie dell’album, composto da dieci brani originali, raggiunsero gli scaffali dei negozi di dischi all’inizio dell’estate, nel giugno frizzante e luminoso di trentasette anni fa.
Molto ben strutturata, con un mix ideale di pezzi lenti e altri più vivaci, tutti di pregevole fattura, l’opera impiegò poco per iniziare a macinare. D’altronde l’attesa dei fan per l’album era tanta, poiché negli anni precedenti l’artista capitolino era riuscito a guadagnarsi una stima considerevole. Fatto sta che, pian piano, di settimana in settimana, “La vita è adesso” prese decisamente quota.
La bellezza indescrivibile della title-track, qualcosa di profondissimo e sublime sotto ogni punto di vista, diede una spinta importante. Il disco piaceva a tutti coloro i quali capitava di dargli un ascolto. Un passaparola micidiale fece il resto, e così il disco scalò rapidamente posizioni su posizioni in classifica per assestarsi in vetta e rimanerci per decine di settimane.
Un successo progressivo, epocale, incontrastabile. Un autentico caso in termini discografici: ecco come “La vita è adesso” finì, almeno in Italia, per polverizzare qualsiasi record ed entrare con estrema naturalezza nella storia. Arrivando a superare le quattro milioni copie vendute, resta ancora oggi il disco più acquistato di tutti i tempi nel nostro Paese. Nemmeno pietre miliari del rock come “Thriller” di Michael Jackson e “Born in the U.S.A.” di Bruce Springsteen sono state in grado di fare meglio. Parliamo di un disco fuori dall’ordinario, progettato per trionfare.
Insomma, un risultato incredibile, suggellato da un tour estivo da capogiri, ulteriore conferma della popolarità invidiabile conquistata da un compositore di razza, sensibile e poetico al tempo stesso, formidabile nel rapire l’ascoltatore attraverso una serie esagerata di pregi. Da L’amico e domani a Uomini persi, da Tutto il calcio minuto per minuto ad Amori in corso, senza dimenticare la celeberrima E adesso la pubblicità, “La vita è adesso” è un contenitore incandescente di magia. Dentro c’è tutto (archi, chitarre, tastiere, pianoforti). Tutto messo a fuoco, tutto calibrato alla perfezione.
Diretto, spigliato, lacerante, ipnotico, vero, dolce, romantico: gli elogi si sprecano, ma non saranno mai abbastanza per un disco formidabile, assolutamente contemporaneo e impeccabile. Un disco di quelli che non lasciano indifferente l’ascoltatore, nemmeno quello più rigido e scettico.
Alessandro
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