Davvero difficile, per me, quantificare la stima e l’ammirazione nei confronti di Beck, indubbiamente uno degli artisti più interessanti e spiazzanti degli ultimi trent’anni nel panorama rock e alternative americano. Capace di avviare ben presto una carriera straordinaria, fatta di dischi ricchi di ricerca, genialità e sperimentazione, questo compositore così eclettico, nato a Los Angeles nel 1970, non ha mai deluso le aspettative, conquistandosi piuttosto un’attenzione importante da parte del proprio pubblico attraverso la realizzazione di progetti a dir poco validi.
Beck è straordinario in quanto estremamente coerente: dai primi anni Novanta in poi si è sempre rifiutato di scendere a compromessi, di produrre una musica scontata, prevedibile, costruita a tavolino. Si sarebbe potuto adagiare sugli allori tempo addietro, campando di rendita grazie alla notoreità ottenuta da singoli e da dischi di indubbio successo. E invece no, niente di tutto questo. La sua notevole prolificità non può in nessun modo coincidere con una banalità che, magari, può riscontrarsi nelle produzioni di alcuni suoi colleghi.
Per quanto complessi, non immediati, anche i suoi ultimi dischi si lasciano ascoltare alla grande, soprattutto perché permeati di suoni contemporanei, moderni. L’umiltà e la serietà che ne hanno continuamente caratterizzato la cifra stilistica risultano tangibili pure oggi: non se ne vanno, non tendono a scemare. Credo che, in tal senso, basti sentire album quali “Hyperspace” e “Colors”, rilasciati rispettivamente nel 2019 e nel 2017, per rendersene conto.
Dall’uscita di “Golden Feelings”, incredibile a dirsi ma vicino a compiere i suoi primi trent’anni di vita, questo funanbolico musicista e songwriter californiano non ha fatto altro che reinventarsi, puntando a trovare delle soluzioni sonore e stilistiche sempre valide, originali, per confezionare a dovere e con gusto dei pezzi maturi, non effimeri e tantomeno patinati.
Sono abbastanza certo del fatto che, pure in futuro, il buon Beck riuscirà a stupirci e a convincerci con la sua attitudine a mescolare le carte, a fondere in continuo il rock con il pop, il folk con l’elettronica, il blues con l’hip-hop. Resta, indubbiamente, un punto di riferimento per tante persone, dai colleghi agli ascoltatori sparsi per il mondo.
Chissà quando, almeno qui da noi, si riuscirà a celebrarlo a dovere. Probabilmente in Italia non si sono mai comprese appieno le sue pregevoli doti compositive. Un peccato, perché se è vero che nello Stivale un seguito Beck sia pur stato in grado di crearselo, troppe poche persone si sono davvero rese conto della sua bravura, della sua tendenza a osare senza comunque smarrire concretezza.
Alessandro
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