Intorno alla metà degli anni Settanta Iggy Pop, al secolo James Newell Osterberg Jr., era allo sbando. Si potrebbe dire che avesse letteralmente perso la bussola. Dopo l’uscita dell’album “Raw Power”, avvenuta nel 1973, il rapporto con gli altri tre componenti degli Stooges, la sua band dell’epoca, si era del tutto consumato: un album di livello, purtroppo non capito a dovere e per questo poco venduto, aveva decretato la fine di un gruppo rock molto apprezzato non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa.
Così l’Iguana fu costretto ad andare avanti per la sua strada, trovandosi pressoché smarrito. Questo perché la testa era altrove: la dipendenza dalle droghe lo stava facendo naufragare, inoltre mancavano fiducia intorno e stimoli adeguati per scrivere e rilanciarsi. Insomma, un autentico disastro. A neanche trent’anni, uno dei rocker più talentuosi ed eclettici del tempo si ritrovava con le spalle al muro, sull’orlo del baratro.
Proprio quando la situazione appariva disperata, una persona speciale gli venne in soccorso. Era David Bowie, pseudonimo di David Robert Jones. Il Duca bianco. Sì, proprio lui. Coetaneo, ma inglese di nascita, in quel periodo il compianto artista godeva di una discreta fama, essendo stato in grado di piazzare dei dischi fenomenali, come “The Man Who Sold the World” e “Aladdin Sane”.
Tuttavia, di problemi ne aveva pure lui. E di mezzo c’era la droga, proprio come per Iggy. Non l’eroina, bensì la cocaina. Una brutta bestia, non c’è dubbio. Da poco era fuori l’album “Station to Station”, seguito ideale di “Young Americans”. E c’erano dei concerti da fare. Da amico vero, perché tra i due la sintonia era scoppiata all’inizio di quel decennio, Bowie decise di portarselo in tour: facendolo suonare lo avrebbe distratto dai tanti problemi che lo stavano logorando.
Il tour andò abbastanza bene, ma per entrambi il turbamento personale era una costante. Bowie, in cerca di ispirazione per scrivere cose nuove, pensò di trasferirsi per un po’ a Berlino, in Germania. L’idea di soggiornare in una metropoli così particolare, dove gli input artistici erano forti, lo stuzzicò al punto tale da decidere di partire. E visto che anche Iggy doveva rimettersi sotto con la composizione, specialmente in seguito alla fine dell’esperienza con gli Stooges, gli propose di seguirlo.
Quel viaggio, all’apparenza così folle e improbabile, si rivelò poi determinante per tutti e due. In un contesto diversissimo da città come Londra e New York, sia l’uno che l’altro riuscirono a farsi venire idee interessanti. Berlino, grazie pure alla tanta e variegata musica che vi si creava, li rilanciò del tutto. Se Bowie poggiò lì le basi per dischi fortunati quali “Low”, “Heroes” e “Lodger”, destinati a comporre la cosiddetta trilogia berlinese, l’Iguana incamerò un discreto numero di pezzi.
Erano brani, i suoi, piuttosto validi e differenti, perché influenzati da più generi. L’amico Bowie, che aveva co-prodotto il già citato “Raw Power”, ne comprese la validità e decise quindi di metterci mano per farli fruttare a dovere. Proprio in quei mesi lì, trascorsi in una città che non era la loro, ma comunque in grado di accoglierli al meglio, il buon Iggy mise a punto la maggior parte delle canzoni da inserire in “The Idiot” e “Lust for Life”, i suoi primi e fortunati album da solista.
Bowie, come detto, credeva nei suoi componimenti e lo seguì per tutto il processo di lavorazione. Pubblicati entrambi nel 1977, anno emblematico per la musica con l’esplosione del punk, “The Idiot” e “Lust for Life” permisero a Iggy di risorgere: le canzoni al loro interno, tra cui Nightclubbing, China Girl e The Passenger, piacquero tanto al pubblico, e ci misero davvero poco a diventare degli evergreen. Furono tutti e due degli ottimi album, lavori ancora oggi molto apprezzati dagli amanti del rock “classico”.
La carriera di Iggy, che non sarà sempre tutta in discesa, partì con il botto: ritornò il successo, ritornò la fama, ritornarono i concerti. Fu un nuovo grande inizio, e dietro c’era la generosità di una persona straordinaria. Uno che lo seguirà sempre, che non lo abbandonerà e che, addirittura, tornerà a lavorare con lui in futuro.
A ripensarci oggi, sembra tutto così incredibile: due grandi artisti insieme a scrivere e a farsi forza a vicenda, capaci di tirare fuori idee magnifiche nonostante i grossi disagi personali. Eppure è successo. Molto tempo fa, ma è successo.
Alessandro
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