Ascolto sempre con molta frequenza i dischi dei R.E.M., per quanto mi riguarda band formidabile perché capace di ottenere un successo importante senza stravolgere più di tanto il proprio stile, piuttosto semplice, diretto e riconoscibile. Da almeno venti, venticinque anni non riesco a fare a meno di quella scrittura ragionata ma, al contempo, istintiva, così come di quel pregevole misto di elettricità e di acustica, di quello sperimentare senza spiazzare. Insomma, al di là dei gusti, li reputo straordinari.
Quando più di dieci anni fa annunciarono lo scioglimento non ci rimasi poi troppo male. Di sicuro non mi sarei mai aspettato una notizia simile, però intuii abbastanza facilmente le ragioni della loro divisione: con molta probabilità avevano compreso di non provare più l’entusiasmo di un tempo, di non riuscire più ad avere smalto e originalità, di aver smarrito coesione e affiatamento.
Andando ad analizzare la loro carriera, si nota una caparbietà abbastanza rara, unita a un’evidente maturità e a una discreta consapevolezza nei propri mezzi: cominciando giovanissimi a scrivere e a suonare, sono andati per la propria strada a testa alta e con le idee chiare fin dal principio. Pian piano il loro sound è andato a irrobustirsi e a contaminarsi. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta sono stati raggiunti traguardi incredibili, si pensi all’infinità di album venduti e ai tour trionfali in giro per il mondo.
Una gran bella storia, resa decisamente intrigante da tutta la meraviglia che Michael Stipe e soci sono stati in grado di regalarci. “Out of Time” e “Automatic for the People” restano lavori sublimi, autentiche gemme. Per quanto mi riguarda, è indescrivibile l’attrazione per i due dischi successivi, caratterizzati da uno splendido rock distorto e brillante (mi riferisco a “Monster” e a “New Adventures in Hi-Fi”, magnifici).
Verso la fine del vecchio millennio qualcuno ha iniziato a riscontrare una flessione non del tutto reale, se non altro perché di cose belle ne hanno create lo stesso, e mi viene in mente il sottovalutato e non compreso “Accelerate” del 2008. Sul fatto che oggi manchino siamo quasi tutti d’accordo, ma grazie al cielo il materiale da loro inciso è così ampio e stuzzicante da potersi consolare senza problemi.
Più ci si dedica all’ascolto dei loro pezzi, più si comprende quella qualità, quel gusto, tangibile già agli esordi, quando erano praticamente dei ragazzini desiderosi di fare qualcosa di unico. E in fin dei conti ci sono proprio riusciti.
Alessandro
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