Facendo un po’ di ordine nella nuova casa in cui sono entrato a gennaio, ho ritrovato un cd al quale sono molto legato, e che è ben visibile nell’immagine scelta per accompagnare questo post. Il cd in questione, composto da quattro canzoni originali, è l’unica demo realizzata dai Capo da Roha, il gruppo con il quale collaborai nelle vesti di paroliere dal 2010 al 2014.
In realtà, quando i pezzi finiti nel cd vennero registrati, i Capo da Roha non esistevano ancora. Era il 2011, e da poco più di un anno io e Simone Facchinato, cantante e chitarrista conosciuto all’università, ci dedicavamo alla composizione di brani in italiano, legati alla canzone d’autore nostrana ma aperti alla contaminazione sonora, e pronti ad abbracciare generi come il folk, il blues e la bossa nova (Simone è sempre stato attratto dagli stili musicali provenienti dal Sud America, e molte delle canzoni scritte assieme avevano un taglio che strizzava l’occhio a certa musica prodotta specialmente in Brasile).
In quel periodo non facevamo altro che scrivere e mettere a punto le canzoni che, man mano, andavano ad ampliare un repertorio a mio avviso niente male. Soltanto diversi mesi dopo i Capo da Roha avrebbero preso forma, con l’ingresso in pianta stabile dell’amico fraterno Francesco Sicheri, pronto a mettere in campo tutta la sua esperienza e la sua professionalità per far maturare i pezzi già chiusi e per sviluppare con sapienza quelli che sarebbero nati in seguito.
L’ingresso di Francesco fu fondamentale, perché con lui venne deciso il nome del gruppo, un omaggio alla località portoghese Cabo da Roca, e fu inoltre possibile iniziare a organizzare dei concerti in acustico a Roma (dedicandosi anche lui alla chitarra, sul palco andava ad esibirsi un duo abbastanza interessante e virtuoso, dedito anche alla rielaborazione di tanti classici). In seguito entrarono altri elementi, perché fin dall’inizio l’obiettivo fu quello di mettere su un quintetto, avvalendosi perciò di un bassista, di un batterista, di un percussionista e di un tastierista.
La ricerca fu complicata, perché ad esempio passammo anni a selezionare un batterista motivato e serio, dotato di un tocco delicato per non rendere troppo rock le canzoni terminate. Un processo lento e faticoso, visto e considerato che poi non trovammo mai l’elemento giusto.
Nei mesi precedenti allo scioglimento reclutammo invece un bravo percussionista, Giulio Marini, residente a Vitinia, vicino Dragona, a sud di Roma. Purtroppo non ci fu modo di fissare una data con lui. Infatti, all’inizio del 2014, il nostro bassista Giovanni Sciotti, entrato circa un anno e mezzo prima, ci comunicò che di lì a breve si sarebbe trasferito in Olanda per motivi di lavoro.
Il suo allontanamento dalla band, di fatto inevitabile, fu un trauma per tutti: oltre a essere un buon musicista, diligente e versatile, Giovanni era un amico vero, un fratello. Il suo carattere tranquillo riusciva a garantire un equilibrio necessario per portare avanti il progetto. Preso atto del suo addio, tutti noi crollammo dal punto di vista mentale, tanto da non riuscire più a ripartire. Nessuno sarebbe stato in grado di rimpiazzarlo, specialmente sotto l’aspetto umano, che era poi una prerogativa decisiva, non trascurabile, per ognuno di noi.
Nonostante alcune registrazioni effettuate in sala prove, soprattutto in quella situata a Torre Maura dove ci si ritrovava spesso per le prove, non esistono altre demo dei Capo da Roha. Quella della foto è la copia originale uscita dal Nowhere Studio di mio cognato, Maurizio Loffredo. Ricordo la sua grande pazienza durante le incisioni di Simone in un freddo pomeriggio d’inverno, e lo ringrazio ancora per il tempo dedicato alla realizzazione di un cd piuttosto utile per far conoscere il progetto a tanti direttori artistici di locali della Capitale e per riuscire a prendere diverse serate (dalla primavera del 2012 all’estate del 2013 si tennero circa quindici concerti in città).
Mi spiace molto che tutto sia finito da un momento all’altro. Indubbiamente il gruppo avrebbe faticato a farsi largo in un ambiente dove c’è molta competizione e in cui si prediligono stili ruffiani e banali. Eppure, sono dell’idea che incidendo una manciata di album e continuando a suonare in giro, i Capo da Roha avrebbero potuto far parlare tanto e bene di sé.
Conservo ancora i tanti testi scritti per il gruppo. Saranno quasi trenta tra quelli musicati e quelli rimasti soltanto una lunga successione di versi. Al di là di tutto, di come sono andate le cose, ritengo di aver dato il massimo in quel periodo, e ringrazio Simone che, un’estate di più di dieci anni fa, ebbe l’intuizione di farmi buttare giù parole su parole per provare a costruirci delle canzoni.
Non escludo che, in futuro, torni a raccontare altro di quel periodo e di quel lavoro di scrittura. D’altronde collaborare con dei musicisti, in primo luogo amici, fu, nel suo piccolo, un’esperienza assolutamente arricchente. Rifarei davvero tutto, senz’altro.
Alessandro
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