Mi sembrava giusto e opportuno presentare su questo blog “Beehives of Resistance”, il nuovo album di inediti di Massimo Giangrande. I motivi sono tanti: è un cantante, chitarrista e produttore straordinario, tra i migliori in circolazione in Italia; è un caro amico, che ho la fortuna di conoscere da anni, esattamente dal 2009; è una persona splendida, solare e rispettosa, di quelle di cui non si vorrebbe mai fare a meno; ha sfornato un altro lavoro sublime, sensazionale, per un pubblico esigente.
Circa tre e anni dopo “Beauty at Closing Time”, rilasciato nel marzo del 2018, Massimo è tornato sulle scene con la sua quarta raccolta di canzoni originali, data alle stampe lo scorso 8 giugno e anticipata dagli strepitosi singoli Metal Rain e Morning Dew, tasselli di un’opera a cui non sembra mancare nulla e che non ci si stanca di ascoltare.
Al pari del suo predecessore, “Beehives of Resistance” è interamente composto da brani scritti e cantati in inglese. Lui, che cominciò la carriera solista con un album tutto in italiano intitolato “Apnea”, ha sempre avuto una grande padronanza di una lingua simile, e da un po’ di tempo a questa parte sceglie di utilizzare quella per confezionare i suoi componimenti, facendo quindi a meno dell’italiano (scelta decisamente impopolare e coraggiosa, visto quanto prodotto nel nostro Paese nel circuito indipendente).
Per quanto il sottoscritto continui a ritenerlo un maestro nell’impiego di versi in lingua italiana, “Beehives of Resistance”, con le sue liriche in inglese, non delude affatto. Anzi, per quelli che sono i suoni e gli arrangiamenti dell’album, che come “Beauty at Closing Time” denota un vero e proprio respiro internazionale, il cantato in inglese sembra essere a dir poco calzante.
Risentendolo più volte, questo disco, che l’autore ha deciso di prodursi autonomamente, appare alquanto maturo e ispirato, profondo e curato nei dettagli. Ognuna delle dieci canzoni in scaletta risulta essere immediata e ricercata al tempo stesso.
C’è grande equilibrio in “Beehives of Resistance”. E c’è pure un’ispirazione da non sottovalutare. Difficile, al giorno d’oggi, sentire album simili, almeno in Italia. Se un ascoltatore non conoscesse l’artefice di un progetto discografico del genere, nel sentirlo a scatola chiusa penserebbe di avere tra le mani un lavoro confezionato in Nord Europa o dall’altra parte dell’Oceano. E invece “Beehives of Resistance” non è altro che un disco scritto prevalentemente nel Belpaese e registrato tra il Lazio e la Toscana, con musicisti nostrani molto preparati e sensibili (del mastering si è occupato Giovanni Versari).
Sfruttando soprattutto strumenti acustici ed elettrici, Massimo ha deciso di regalare a chi lo segue un album davvero bello, sentito, affascinante, di spessore, dove si alternano brani dolci e brani più ritmati, veloci (su tutti Devil Is Watching Me). Eleganti fraseggi di chitarra elettrica lasciano spesso il posto a sontuosi arpeggi di acustica, mentre qua e là emergono elementi per certi versi imprevedibili, come i fiati in Let It All Go.
Un lavoro che suona molto contemporaneo, ma che della musica attuale conserva, grazie al cielo, soltanto raffinatezza ed efficacia. Tutte quelle soluzioni stilistiche e sonore ruffiane, prevedibili e scadenti, sono decisamente tenute alla larga.
“Beehives of Resistance” è un concentrato musicale puro e delizioso. L’ascolto è coinvolgente, piacevole. Lo ameranno i fan di vecchia data del suo artefice e quelli che, magari in maniera casuale, ci si imbatteranno navigando in una rete sempre più intasata di materiale patinato dove, tuttavia, può ancora capitare di pescare bene. Per farlo, in ogni caso, servono esperienza e destrezza.
Alessandro
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