Ne “Il mostro” un Benigni in stato di grazia

La scorsa estate, quella del 2020 e di una pandemia di cui non ci scorderemo facilmente, ho avuto, come tanti, molto tempo a disposizione. Tempo che ho dedicato soprattutto all’ascolto di dischi, alla lettura di libri e alla visione di film. A proposito di cinema, ho approfittato delle tante settimane trascorse in casa per vedere cose nuove, quindi per conoscere più a fondo registi rinomati, ma anche per andare a rivedere delle pellicole viste in passato e, per un motivo o per un altro, dimenticate.
Tra queste, anche quelle firmate a inizio carriera da Roberto Benigni, artista che continuo a stimare moltissimo per tutto quello che ha dato al cinema italiano. Così, piano piano, mi sono goduto tutta la comicità travolgente di lavori quali “Non ci resta che piangere”, “Il piccolo diavolo”, “Johnny Stecchino” e “Il mostro”. Ecco, a proposito di quest’ultimo lungometraggio, uscito nelle sale nel corso del 1994, vorrei spendere giusto qualche parola.
Innanzitutto partirei con il dire che, tra i film più leggeri del regista e attore toscano, si tratta della migliore produzione in assoluto: se ne “Il piccolo diavolo” non si nota ancora una maturità completa, dal mio punto di vista nemmeno il delizioso “Johnny Stecchino” riesce a stargli dietro (“Non ci resta che piangere” è stato realizzato insieme a Massimo Troisi, quindi lo terrei fuori da questa riflessione). Per la storia narrata, per l’interpretazione di Benigni stesso e per le numerose scene sensazionali che contiene, si tratta di qualcosa di unico.
Non si sa perché, ma all’epoca Benigni era davvero in uno stato di grazia, ispiratissimo. Riusciva a inventarsi delle situazioni straordinarie perché comiche e, contemporaneamente, efficaci, impeccabili. Difficile dimenticare il personaggio interpretato dal grande Roberto, così buffo, nonché dolce. “Il mostro” dispensa momenti di ironia davvero irresistibili. Diciamo che mantiene dall’inizio alla fine un ritmo sorprendente, incalzante.
Come dicevo a un caro amico qualche tempo fa, compagno di studi all’università e oggi scrittore e sceneggiatore, quel tipo di cinema proposto da Benigni fino alla prima metà degli anni Novanta non si è più visto. Certo, nel 1997 fu la volta di un capolavoro autentico quale “La vita è bella”, però, a pensarci bene, con “Il mostro” si chiuse una determinata fase artistica di Benigni, da lì in avanti pronto a dedicarsi ad altro, come regista e come attore.
Ciò che è arrivato dopo “Il mostro” può piacere o no, in ogni caso dopo quest’ultimo lavoro non si è più visto un film di Benigni contraddistinto da una comicità e da un linguaggio simili. A dire il vero, forse è stato anche giusto così. Forse è stato giusto, legittimo, che Benigni abbia cercato di fare altro, a prescindere dalla resa finale di quanto prodotto.
Eppure, ciò è indubbio, con “Il mostro” si interruppe un certo modo di fare cinema da parte di questo personaggio tanto istrionico e stravagante. Da una parte mi viene da pensare che sia stato un peccato perché, con molta probabilità, è con lavori del calibro de “Il mostro” che Benigni ha dato il meglio. Sarebbe stato interessante contemplare altri lavori sulla falsariga del successore di “Johnny Stecchino”. Le cose, tuttavia, sono andate in maniera diversa.

Alessandro

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