Saranno una decina di giorni che non faccio che ascoltare l’ultimo disco in studio realizzato da Ben Howard, indubbiamente uno dei musicisti inglesi più forti in circolazione, abile a contaminare e a far evolvere il suo stile che, in un certo senso, parte dal folk rock. Il disco, che è il quarto della sua carriera, iniziata ufficialmente nel 2011 con il folgorante “Every Kingdom”, s’intitola “Collections from the Whiteout” ed è fuori da un paio di mesi (la pubblicazione è avvenuta nel mese di marzo, il 26 per l’esattezza).
Questa interessante raccolta di pezzi inediti, che in totale sono quattordici, si avvale della co-produzione di Aaron Dessner, uno dei cinque componenti dei National e, soprattutto, musicista raffinatissimo e versatile. Indubbiamente, risentendo più volte e con attenzione l’album, si avverte la sua mano, il suo tocco: la cura per gli arrangiamenti è notevole, mentre i suoni appaiono ricercati, forse anche diversi dal solito per Howard.
Nel disco precedente, “Noonday Dream” del 2018, si avvertiva una certa cupezza, con le tracce molto dilatate e scandite da vari momenti di psichedelia, quasi noise in alcuni punti. In questo caso, il lavoro appare più delicato e immediato. Eppure, questo va detto, “Collections from the Whiteout” non è né un disco solare, né un’opera pop.
C’è, come detto, grande ricerca. Le musiche sono morbide, soffici, strutturate con sensibilità. L’album suona piuttosto contemporaneo e l’acustica si confonde con l’elettricità e molto altro. Al pari del suo predecessore, non è certo un disco semplice, da assimilare mettendolo in sottofondo. Si tratta piuttosto di un lavoro che richiede un minimo di pazienza e di attenzione per essere compreso a dovere.
Howard non è più quello di dieci anni fa, non scrive più pezzi incalzanti quali Keep Your Head Up e Only Love. È un artista che nel frattempo è cresciuto e oggi, come è giusto che sia, si guarda continuamente intorno per rendere quanto più matura e articolata la sua scrittura, che grazie al cielo appare autentica e libera. Diciamo che, con grande coraggio, va continuamente avanti con l’intento di non ripetersi. E questo gli fa onore.
Rimarco il ragionamento: “Collections from the Whiteout” è un disco particolare, senza potenziali hit, ma estremamente coerente a livello di musiche e di testi. A forza di sentirlo, se ne comprenderà pienamente lo spessore.
Di questi tempi, contraddistinti da una musica il più delle volte banale e di cattivo gusto, è un’autentica gemma.
Alessandro
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