Prima o poi avrei dovuto dedicare qualche riga all’album “Dove c’è musica” di Eros Ramazzotti. Lo faccio nella settimana in cui questo disco, il settimo della carriera di Eros, compie venticinque anni. Ebbene sì, fa impressione ma è già passato un quarto di secolo dall’uscita di un lavoro eccellente che consacrò definitivamente l’artista romano: era il 13 maggio del 1996, non posso dimenticarlo.
Al tempo ero un ragazzino, appena otto anni. Un bimbo. Però, come ho scritto in passato qui sul blog, già in quel periodo, a metà dei Novanta, ero un ascoltatore curioso, uno che approfittava della buona quantità di cd datati che c’erano in casa per farsi un po’ di cultura musicale e che, sfruttando soprattutto la televisione, contemplava i singoli tratti dalle varie produzioni discografiche che andavano a susseguirsi, rimanendo quindi piuttosto aggiornato.
Già prima dell’uscita di “Dove c’è musica” apprezzavo particolarmente lo stile di Eros, un musicista che continuo a stimare pur ritenendo i suoi ultimi lavori in studio non particolarmente esplosivi, sensazionali, brillanti, o comunque poco incisivi (eppure, “Perfetto” del 2015 ha comunque il suo perché). Tra il 1993 e il 1994 iniziarono ad arrivarmi i suoi pezzi di maggior successo. I brani a cui ero particolarmente legato erano soprattutto Cose della vita e Un’altra te, contenuti nello splendido “Tutte storie”, rilasciato proprio nel 1993 e contraddistinto da una maturità sorprendente. Oltre a questi, amavo hit quali Terra promessa, Adesso tu, Musica è, La luce buona delle stelle, Se bastasse una canzone. Tutti pezzi di spessore, indubbiamente di matrice pop e scritti per vendere ma, comunque, confezionati con astuzia, nonché capaci di emozionare le persone, incluso il sottoscritto.
Poi, nella primavera del 1996, credo un mese prima dell’uscita dell’ideale seguito di “Tutte storie”, le radio e le tv iniziarono a passare Più bella cosa, canzone che ritengo tuttora incredibile, magica, potentissima. In poco tempo, capitò pure a me di sentirla (la sua diffusione era notevole, la si poteva ascoltare ovunque). Inutile girarci intorno: fu folgorazione totale. Quel brano, in nemmeno cinque minuti, mi travolse come un’onda gigantesca. Persi davvero la testa, perché, di fatto, il tiro di Più bella cosa era un qualcosa di straripante per un bambino attratto dalla musica leggera italiana e dalle melodie semplici e virtuose al tempo stesso.
Più bella cosa sintetizzava questi aspetti, o comunque li conteneva alla perfezione. E quindi, come detto, impazzii. Inoltre, come se non bastasse, c’erano tante persone intorno a me attratte da quel singolo, frutto della collaborazione con Claudio Guidetti, uno destinato a lavorare per tanti anni al fianco del celebre cantante di Cinecittà (quello fu il primo pezzo realizzato insieme, venuto fuori da un’idea musicale mandata da Guidetti a Eros). Mia sorella, ad esempio, lo cantava in continuo. E pure alcuni miei compagni di scuola, in classe o a ricreazione, lo accennavano. Era davvero un brano costruito per risultare vincente.
Così arrivò il fatidico 13 maggio, giorno dell’uscita nei negozi di dischi di “Dove c’è musica”, raccolta di dodici inediti e risultato di circa tre anni di lavoro, arricchito dal contributo del grande paroliere Adelio Cogliati e di musicisti fenomenali come, ad esempio, Michael Landau, Vinnie Colaiuta, Nathan East, Celso Valli, Paolo Gianolio e tanti altri. Poiché Più bella cosa aveva finito per stendermi, fu naturale, insieme a mia sorella, supplicare nostro padre per comprarci quel disco. Lo mettemmo davvero in croce e lui, alla fine, cedette e sborsò circa ventimila lire regalandoci quell’oggetto che per tutti e due assunse le sembianze di un trofeo, di un tesoro.
Non so davvero dire quante volte, in macchina e a casa, sentimmo “Dove c’è musica”: ascolti a ripetizione, roba da sfinire mio padre e mia madre. Dico sul serio, non mento: i pezzi inclusi al suo interno, oggettivamente impeccabili (ricorderei almeno Stella gemella e L’Aurora), vennero da noi amati e assimilati a livelli impressionanti.
Credo che “Dove c’è musica” sia uno degli album da me più ascoltati in assoluto, non solo tra quelli italiani. Ancora oggi, mi capita di metterlo su e di sciogliermi, di commuovermi nel notare l’energia e il carisma che Eros, aiutato da persone più che competenti, mise dentro per dare vita a un gioiello, indubbiamente il suo miglior lavoro, capace di vendere più di sette milioni di copie in tutto il mondo (non so se mi spiego).
Bisogna dire che l’Eros di quegli anni era un treno, un artista pop inafferrabile. Non penso di essere l’unico a ritenere che a metà degli anni Novanta fosse in stato di grazia. Gli venivano delle idee straordinarie che sapeva riordinare con destrezza al momento di produrre dei pezzi originali. La giovinezza, l’entusiasmo, l’amore e il successo crescente furono probabilmente determinanti per dargli una marcia in più. Poi, con il tempo, anche per vicissitudini private che quasi tutti conoscono, ha finito per perdere un certo smalto, faticando a dare alle stampe dei dischi all’altezza di “Dove c’è musica”, in ogni caso un autentico colpo di reni, un exploit nella sua discografia.
Potrei scrivere decine di articoli su “Dove c’è musica” e sulle canzoni che si trovano al suo interno. Ora mi fermo qui, ma non escludo di tornare a scrivere di Eros e dell’importanza della sua musica nella mia vita.
L’ultima cosa che mi sento di aggiungere è questa: anche se non vi piace, se non stimate questo artista, provate a sentire dall’inizio alla fine, per una sola volta, “Dove c’è musica” e comprenderete il perché della mia passione per un disco simile. Tra arrangiamenti sublimi e testi perfettamente calzanti, è un album che suona ancora alla grande. Ha un suono così contemporaneo da fare impressione.
Alessandro
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