“Puerto Escondido” e Gabriele Salvatores in stato di grazia

Per quanto mi risulti difficile trovare un film preferito tra tutti quelli confezionati da Gabriele Salvatores in circa trentacinque anni di carriera, la scelta ricade su “Puerto Escondido”, lungometraggio che raggiunse le sale italiane nel 1992. Non mi assumo la responsabilità di ritenerlo il migliore della sua produzione, ci mancherebbe. Di certo, tra tutte le pellicole da lui dirette è quella che riguardo sempre con maggior piacere.
A mio avviso ha un ritmo irresistibile, nel senso che con questo lavoro Salvatores riesce ad attirare ben presto l’attenzione dello spettatore, in pratica fin dalle battute iniziali, tenendolo sulle corde per tutto il tempo. Più il film va avanti, più la storia si sviluppa, più chi guarda viene rapito dalla narrazione che tende a progredire con estrema fluidità. “Puerto Escondido” è il classico film travolgente dove tutto funziona alla grande, la cui parabola è crescente.
Amo tutto di questo progetto cinematografico. Amo il cast, con Diego Abatantuono e Claudio Bisio fantastici, senza dimenticare Valeria Golino e il grande Renato Carpentieri (elogerei pure le parti di Fabrizio Bentivoglio e Ugo Conti). Amo le location individuate dal regista e dai suoi collaboratori, deliziose ed evocative. E poi adoro l’intreccio, i dialoghi, il montaggio, la fotografia, l’interpretazione dei protagonisti. Credo sia un film tuttora molto sottovalutato e presumo che ciò dipenda dal fatto che, in generale, molti ritengano Salvatores un regista normale, forse non in grado di tirare fuori dal cilindro dei capolavori.
È vero, se si dà uno sguardo alla sua filmografia si notano delle produzioni ben riuscite accanto ad altre invece mediocri, poco fortunate. In ogni caso, stiamo comunque parlando di un regista che negli anni ha più volte cercato di esplorare, di sperimentare, di rimettersi in discussione. Alcune volte i risultati gli hanno dato ragione, altre non sono stati eccellenti. Ma all’inizio degli anni Novanta Salvatores era al top per idee ed efficacia. E pure all’inizio del Duemila qualcosa di decente l’ha fatto. Insomma, è una figura tutt’altro che secondaria nella storia del cinema italiano. È uno con cui bisogna fare i conti se si vuole esplorare in lungo e in largo la materia in questione. Ricorderei inoltre che fu lui a dirigere il videoclip de La domenica della Salme di Fabrizio De André, il quale poi non ripeté più quell’esperienza.
“Puerto Escondido” rientra nella cosiddetta tetralogia della fuga, completata da “Marrakech Express”, “Mediterraneo” e “Turné”. Credo siano tutti film magistrali, realizzati con un’attenzione, con una cura, con una sensibilità e, forse, con un pizzico di spericolatezza perfetta per conferirgli la giusta originalità. Probabilmente è con questi film che Salvatores ha ottenuto una credibilità adeguata. Ben presto si distaccò da quel filone molto legato a un certo romanticismo, a una certa dolcezza, a certi contesti mediterranei o vagamente esotici, per cimentarsi in lavori maggiormente articolati (si potrebbe citare “Nirvana” così come “Denti” e “Quo Vadis, Baby?”).
Detto questo, almeno da “Marrakech Express” a “Turné” il livello fu notevole: l’Oscar ottenuto per “Mediterraneo” non arrivò casualmente. Fosse stato per me, glielo avrei dato per lo stesso “Puerto Escondido” o per “Marrakech Express”, anche se riguardando “Mediterraneo” si nota come abbia tutti i requisiti per convincere una giuria non italiana. In un certo senso è caratterizzato da un respiro più internazionale e la storia narrata può interessare molto un pubblico europeo così come americano.
Ritengo ancora oggi “Puerto Escondido” un film ispirato, accattivante, capace di regalare belle risate ma anche di generare una discreta suspense. Vedere quegli scorci messicani, molto suggestivi, è una goduria per gli occhi (discorso identito per i colori che caratterizzano le singole scene). Abatantuono e Bisio erano giovani e carismatici e immagino quante intuizioni vennero fuori sul set al momento di costruire una scena: sono abbastanza convinto del fatto che, durante la realizzazione, ci fosse un clima disteso e al contempo stimolante, tutto ciò che è necessario per costruire un’opera valida.
Davvero un lavoro eccellente, da conoscere per chi non l’ha fatto prima e da riconsiderare per chi, in passato, non gli ha prestato il giusto interesse.

Alessandro

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