“Moby Dick”

“Moby Dick” l’ho letto nell’estate del 2011, su per giù dopo aver preso la laurea triennale. Ricordo che già da adolescente ero intrigato da quel libro e da quella storia, anche se soprattutto per pigrizia e mancanza di tempo rinviai più volte l’acquisto e la lettura del testo.
Trattandosi di un romanzo ambientato prevalentemente in mare, o meglio nell’Oceano, elemento per me piuttosto significativo, non potevo lasciarmelo sfuggire. Non potevo saltare un classico simile, capace di descrivere, forse meglio di qualunque altro progetto editoriale mai concepito, la quotidianità di chi passa la vita sopra le navi, cioè i marinai.
La lettura, e di questo non ne dubitavo per niente, fu emozionante e coinvolgente. Per quanto mi spaventasse un po’ la grandezza del volume, se non sbaglio costituito da oltre seicento pagine, mi immersi nel vero senso della parola nella lettura di quella vicenda così assurda, folle, dannatamente magica.
Come non lasciarsi incantare dal racconto minuzioso e limpido da parte di Ismaele? Come non essere incuriositi dai suoi compagni di lavoro? Come non restare folgorati dalla personalità, dai modi e dal linguaggio del Capitano Achab? A ripensarci oggi, dopo quasi dieci anni di distanza, mi vengono i brividi.
Credo che tutti dovrebbero leggere questo capolavoro di Herman Melville, senza dubbio una pietra miliare della letteratura americana e, del resto, mondiale. È un testo avvincente perché, nonostante la sua lunghezza, tiene il lettore sulle spine, costringendolo ad andare avanti per capire se la flotta comandata da Achab riuscirà o no a incrociare di nuovo quella balena, destinata a vagare nell’oscura immensità, per poi catturarla.
Chiaramente chi ha letto “Moby Dick” avrà notato gli ampi capitoli incentrati su spiegazioni dettagliatissime che riguardano in gran parte le specie di balene conosciute fino al momento in cui il libro venne scritto, vale a dire l’Ottocento. Ebbene, per quanto tutte quelle pagine mettano seriamente alla prova il lettore, al quale vengono fornite descrizioni minuziose di cetacei forse mai sentiti nominare prima, anche quelle stesse fasi del volume sono a mio avviso speciali. E hanno di certo ragione d’esistere perché sono una testimonianza tangibile del modo in cui, al tempo, si era soliti sviluppare determinati racconti, dando molto risalto a peculiarità scientifiche.
Ci vogliono parecchie settimane per completare la lettura di “Moby Dick”, è inutile negarlo. Serve anche un minimo di impegno: lo richiede l’autore. Ma ne vale la pena. E anche quando il libro sembra ristagnare in una sorta di lentezza, di sicuro voluta, si percepisce in ogni caso uno stile sontuoso non indifferente, oltre al fatto che possa succedere qualcosa di imponderabile di lì a poco.
“Moby Dick” ha fatto la storia, come testimoniato dagli altri innumerevoli progetti artistici che è stato capace di ispirare negli anni e nei secoli successivi. Se penso alla musica, mi torna sempre in mente l’album di Vinicio Capossela intitolato “Marinai, profeti e balene”, incentrato su storie in cui a fare da sfondo c’è quasi sempre il mare, che in più di un brano rievoca l’opera magnifica di Melville. Guarda caso uscì nel 2011. Non posso nascondere come il suo ascolto mi incentivò ulteriormente ad andare in libreria e fare mio quel gioiello.

Alessandro

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