Da circa un paio d’anni seguo con entusiasmo ed estremo interesse il lavoro di Davide Enia, scrittore, drammaturgo e attore palermitano classe 1974. A mio avviso, la sua ricerca costante in ambito letterario e teatrale è davvero notevole, senza dimenticare quel talento, quella sensibilità e quella preparazione che gli consentono di ricevere una sempre maggiore attenzione da parte di critica e colleghi.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, Enia è un artista di grande spessore che da circa vent’anni si dedica con impegno alla scrittura di testi pensati principalmente per essere interpretati sul palcoscenico e, il più delle volte, pubblicati sotto forma di pregevoli volumi per conto di Sellerio Editore (da considerare, all’interno della sua bibliografia, due romanzi veri e propri). Per lui parlano i numerosi premi ottenuti nel tempo: a confermare la validità del suo operato, il fatto che alcuni suoi scritti siano stati tradotti in decine di lingue.
In quanto ai contenuti, Enia appare spesso molto propenso ad accendere i riflettori sul Meridione e sulle criticità di quell’area, ambientando con grande frequenza le storie nella sua Regione di origine, ovvero la Sicilia. Con un’abilità impressionante, nonché naturale, muove i propri personaggi in varie epoche, ad esempio in contemporanea con avvenimenti sportivi di un certo rilievo (“Italia Brasile 3 a 2”) oppure nel pieno di una guerra sanguinosa e ingiusta (qui il riferimento è al bellissimo “Maggio ’43”). Il suo ultimo progetto, invece, è una coinvolgente e straziante indagine sul fenomeno degli sbarchi a Lampedusa e s’intitola “Appunti per un naufragio”, riadattato per il teatro con il titolo “L’abisso”.
A proposito di questa preziosa testimonianza, che invito chiunque a scoprire e che da luglio sarà riproposta in diverse città italiane, conservo un ricordo splendido: diciamo che è proprio con “L’abisso” che ho conosciuto Enia. Era il giugno del 2018 e al Teatro Argentina veniva presentata la nuova stagione del Teatro di Roma. Raggiunsi di corsa la struttura con l’obiettivo di registrare le interviste prima dell’inizio della conferenza per poi rientrare in tempo in redazione così da potermi dedicare alla preparazione del telegiornale. Giunto sul posto, l’ufficio stampa del teatro consigliò a me e ai colleghi di televisione e radio di partire proprio con Enia.
Fino a quel momento non avevo mai sentito parlare di lui e delle sue opere, inoltre non avendo potuto dare un’occhiata alla programmazione relativa al ’18-’19 ero, al pari degli altri cronisti, ignaro della produzione che Enia stesso si apprestava a presentare. Così andammo tutti a braccio con le domande, restando sul vago. Chiedemmo a lui di illustrarci lo spettacolo che poi avrebbe aperto la stagione del Teatro India. Con grande chiarezza ci parlò del progetto e, dopo pochi minuti, capii di essere di fronte a un artista importante.
Terminate le interviste, rimasi in sala per effettuare alcune riprese video della conferenza e, fatalità, all’inizio venne chiamato sul palco proprio Enia che eseguì in anteprima una piccola parte del suo spettacolo: senza scenografia, con il solo ausilio della parola e della gestualità, mi lasciò a bocca aperta, e credo che molte altre persone ammirarono quel carisma, quella profondità non da tutti. Fu una grande emozione vederlo on stage, dunque mi ripromisi di approfondire la conoscenza e di non perderlo più di vista. Gli auguro tutto il meglio perché se lo merita davvero.
Alessandro
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