Tra i tanti libri di Cormac McCarthy che ho avuto il piacere di leggere fino ad oggi, ritengo “Suttree” il migliore in assoluto. Ovviamente è un giudizio del tutto personale, dettato da semplici sensazioni: non posso e non voglio certo stabilire io quale sia la sua opera più grande. Di sicuro mi viene da pensare che in un romanzo del genere, pubblicato sul finire degli anni Settanta dall’autore americano, siano un po’ condensate le principali atmosfere che, nel corso della propria carriera, McCarthy è riuscito a costruire con indubbia efficacia.
Dagli esordi in poi lo scrittore classe 1933 non ha fatto che dare vita a romanzi mozzafiato, il più delle volte crudi in virtù della presenza di personaggi folli e spietati destinati a vivere storie tanto singolari da far rabbrividire (penso a “Figlio di Dio”, “Meridiano di sangue”, “Cavalli selvaggi”, “Non è un Paese per vecchi”). In “Suttree”, invece, c’è maggiore equilibrio da questo punto di vista. Qui McCarthy sviluppa con abilità una storia in parte autobiografica dove non è la suspence a predominare. Indubbiamente qualche brivido serpeggia, però viene lasciato spazio a momenti più pacati e riflessivi al contempo suggestivi.
L’azione scorre in maniera lenta, o comunque poco concitata, soprattutto perché il texano dedica ampio spazio alle descrizioni di paesaggi affascinanti e ambienti raccolti, il più delle volte locali dove il protagonista consuma caldi pasti contemplando il gelo che regna all’esterno. Credo si possa ritenere un volume abbastanza introspettivo nonché piuttosto maturo nel complesso (da considerare il fatto che “Suttree” sia il quarto libro di McCarthy, quindi uno dei primi). Non so dire se sia la sua opera più rappresentativa, eppure è il testo che consiglierei a chiunque volesse avvicinarsi a una grande penna.
Non metto in dubbio che romanzi quali “Il guardiano del frutteto” e “La strada” siano a dir poco notevoli, in ogni caso “Suttree” ha, secondo me, la capacità di intrigare lettori attratti da stili abbastanza differenti tra di loro. Insomma, un inizio soft prima di dedicarsi, in caso, a lavori maggiormente “estremi” in quanto a vicende.
Alessandro
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