Passo spesso davanti a questo impianto sportivo, tra l’altro chiuso da pochi mesi per cessata attività da parte della società che per decenni lo ha gestito. A molti non dirà niente, d’altronde stiamo parlando di profonda periferia romana. Per me, tuttavia, un posto del genere rappresenta tanto: dal 2003 al 2007 ci avrò trascorso in media quattro giorni a settimana.
Qui, in via Giuseppe Guicciardi, ha operato a lungo e con grande generosità l’Asd Primavalle 1951. Parliamo di una realtà molto importante del calcio romano, un luogo prezioso per garantire l’integrazione tra i giovani dando soprattutto ai ragazzi alle prese con difficoltà familiari un’opportunità di svago autentico e salutare.
Nonostante i grandi sforzi compiuti di stagione in stagione dai dirigenti, nel corso della passata estate il Primavalle ha detto basta. Impossibile andare avanti in un clima piuttosto difficile dove tutto era basato sulla competizione, per di più con pochi iscritti, il che vuol dire non riuscire a fronteggiare le elevate spese mensili. Venire a conoscenza di tutto ciò mi mette molta tristezza: difficile accettare la resa di una società così ricca di storia e capace di offrire ai ragazzi una vasta area completa di un campo di calcio a cinque, di un altro di calcio a otto e, infine, di uno molto grande di calcio a undici.
Davvero tante le soddisfazioni che mi sono tolto giocando qui. Ricordo che arrivai durante l’estate tra il primo e il secondo superiore, nel momento in cui fui costretto, insieme a tanti compagni di squadra, ad abbandonare il Monte Mario che stava progressivamente scomparendo. Al Primavalle ho avuto l’opportunità di essere protagonista, di giocare con continuità e di potermi esprimere al meglio. Certo, non posso dire di aver mai fatto parte di rose valide e vincenti, tuttavia ho affrontato stagioni decisamente stimolanti sfornando ottime prestazioni. Insomma, un’autentica palestra di calcio e di vita.
Dopo l’esperienza iniziale negli allievi ho fatto strada giocando almeno un campionato con gli juniores. Quindi, ben presto, il salto in Prima Categoria (ricordo l’esordio in campionato a nemmeno 17 anni). Con grande dolore lasciai nel 2007, in contemporanea con la fine del liceo. Purtroppo la necessità di dedicarsi all’università e di trovare un lavoro per pagarmi gli studi mi obbligò a rinunciare al pallone. D’altronde non c’erano alternative. Avrei proseguito giusto trovando una società disposta a pagarmi per giocare, di fatto un’utopia pensando alla Prima Categoria o, nella migliore delle ipotesi, alla Promozione (più in alto non sarei riuscito ad arrivare).
Tutte le volte che mi fermo davanti al cancello, provando a scorgere il campo vuoto di terra battuta, riaffiorano nella mia mente flash ripetuti. Rivedo frammenti di partite, alcune trionfali e altre disastrose, così come momenti comici con i compagni di squadra negli spogliatoi, all’esterno del piccolo bar oppure in campo durante gli allenamenti. Partire ogni volta da casa per arrivare qui non era mai un peso, bensì una gioia pura. Neanche quando l’umore era pessimo per via di qualche delusione, tantomeno quando la mole di studio era tanto elevata da farmi pensare che forse avrei fatto bene a non uscire.
Mi manca tanto il pallone, al punto tale che da un po’ di tempo a questa parte sto cercando di capire come fare a rientrare nel giro e a trovare un club grazie a cui allenarmi quantomeno con regolarità. Al di là di questo, soffro nel vedere chiusi i due impianti dove per più di dieci anni ho giocato con una passione e una felicità difficilmente spiegabili. Purtroppo le cose non vanno sempre nella direzione da noi auspicata. Bisogna prenderne atto e andare avanti.
Alessandro
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