Adoro follemente tutte le tracce di “O”, l’indimenticabile disco d’esordio di Damien Rice rilasciato nel 2002 e tanto bello e ben riuscito da consacrarlo immediatamente. Si tratta di un disco prevalentemente acustico, piuttosto asciutto negli arrangiamenti eppure in grado di dispensare emozioni fortissime attraverso una tracklist superlativa dove trovano posto pezzi che, in breve tempo, sono diventati autentici cavalli di battaglia del talentuoso cantautore irlandese (basta citare Delicate, Volcano, The Blower’s Daughter, Cannonball e I Remember per far qualche esempio).
A mio avviso, uno dei brani maggiormente rappresentativi, nonché emblematici, di “O” è Cold Water. Parliamo di una traccia a cui il pubblico dell’artista è piuttosto legato, e non potrebbe essere altrimenti alla luce della sua profondità e della sua ottima resa complessiva. Sono diversi i punti di forza del pezzo: il grande testo, la dolcissima musica, la convincente interpretazione canora di Rice e la consapevole scelta degli strumenti da impiegare per costruirne il sound definitivo.
Rispetto agli altri componimenti dell’album, Cold Water “emerge” anche per via del fatto che si tratti di un pezzo più pianistico anziché chitarristico. Gran parte degli episodi di “O” sono sorretti soprattutto dalla chitarra acustica, probabilmente lo strumento attraverso cui Rice impostò la scrittura del disco. Qui, invece, sono degli struggenti accordi di piano a introdurre la canzone che, progressivamente, sale d’intensità grazie pure all’inserimento di percussioni e non solo (immancabile, ovviamente, la deliziosa chitarra acustica suonata con estrema sensibilità).
Se la voce di Lisa Hanningan amplifica tutta la bellezza concepita da Rice, appaiono curiosi i cori gospel introdotti in una song che, di fatto, sembra provenire da tutt’altro mondo musicale. I cori fanno capolino a metà brano e verso il finale. Il loro utilizzo sorprende ma, del resto, il compositore classe 1973 è apparso incline anche nelle produzioni successive ad optare per soluzioni imprevedibili nelle sue canzoni.
Molte persone avranno notato in “9” e “My Favourite Faded Fantasy” la sua tendenza a dare una sorta di “sterzata” verso la fine di alcuni suoi pezzi, cambiando totalmente atmosfere, dando quasi il via a un’altra canzone. Tra l’altro, i germi di questo “vizio” sono ravvisabili già nello stesso “O”. Pensate all’incantevole I Remember: non c’è pure lì una drastica variazione nella seconda parte?
Tornando a Cold Water, non posso non rimarcare in questo caso la qualità impressionante di Rice in termini di scrittura. Ci troviamo a fare i conti con un’eccellente canzone, fatta di sincerità autentica. Sono dell’idea che solo talenti puri e artisti leali possano tirare fuori dal cilindro brani tanto belli. Guardando a quanto composto nel tempo da Rice, non si può certo dire che “O” sia stato un fuoco di paglia.
Alessandro
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