Riascolto con enorme piacere ed emozione, in questo giorno festivo all’insegna del relax e della legittima lentezza mentale nonché fisica, l’album “Ballate per piccole iene” degli Afterhours che venne rilasciato dalla band milanese nella primavera del 2005. Sono legatissimo al lavoro in questione, nonostante sia dell’idea che Manuel Agnelli e soci abbiano sfornato lavori addirittura migliori (“Germi”, “Hai paura del buio?” e “Quello che non c’è”, giusto per citare qualche titolo, sono dischi a dir poco irresistibili e non credo di essere l’unico a pensarla così poiché già tanti colleghi ne hanno parlato benissimo in passato).
Mentre contemplo per l’ennesima volta la bellezza di tutte e dieci le canzoni del cd, mi rendo conto di quanto tempo sia passato dall’ultimo ascolto di un progetto discografico da me acquistato in negozio tra il 2008 e il 2009. Ebbene, potrà sembrare assurdo, ma forse non inserivo il disco nello stereo di casa da un tre anni buoni. La cosa alla fine mi sorprende in parte: quando si posseggono tanti album si fa fatica e sentirli tutti e con costanza (per quanto mi riguarda, cerco sempre di variare riguardo la selezione così da dare ad ognuno di quelli che ho la giusta importanza).
Nel risentire “Ballate per piccole iene” ravviso ancora una volta tutte quelle componenti che già una decina di anni fa mi colpirono nel vero senso della parola. Innanzitutto la qualità dei pezzi firmati dal gruppo è notevole: si sente un grosso impegno a livello compositivo, un gusto non indifferente nella scelta degli accordi che danno vita a musiche forse non troppo articolate ma, in ogni caso, intense e coinvolgenti.
Altro aspetto che non posso non sottolineare è quello relativo al suono dato al disco, probabilmente la peculiarità più emblematica della raccolta. Di “Ballate per piccole iene” mi entusiasmano le sonorità volutamente cupe portate in quella precisa direzione anche dal buon Greg Dulli, le favolose distorsioni delle chitarre elettriche suonate principalmente da Agnelli, il perfetto bilanciamento tra le chitarre stesse (non mancano pure quelle acustiche) e il pianoforte, il basso corposo di Andrea Viti e il violino alle volte struggente, alle volte asprissimo, di Dario Ciffo.
A far salire il livello globale della produzione ci pensano poi il cantato e i testi di Agnelli. In questo caso ci vorrebbe un trattato a parte, perché è nota l’abilità autoriale del songwriter classe 1966. Io mi limito a far osservare come, dall’inizio alla fine del disco, sia lampante la sua forza comunicativa, assolutamente impeccabile sia negli episodi maggiormente profondi e intimisti, sia nei momenti di accesa e sacrosanta rabbia.
Nel suo essere oscuro, ipnotico e riflessivo, “Ballate per piccole iene” conserva potenza ed efficacia. Regala sprazzi di delizioso rock pur mantenendo una rara eleganza. E poi, particolare da non sottovalutare, contiene diverse canzoni divenute nel tempo degli evergreen per gli After, pezzi amati alla follia dai fan e che dal vivo vengono sempre chiesti. Qualche titolo? Di certo La sottile linea bianca, Ballata per la mia piccola iena, Ci sono molti modi, La vedova bianca e Il sangue di Giuda. A mio avviso si tratta di autentici capolavori. Per non parlare delle varie È la fine la più importante, Carne fresca e Il compleanno di Andrea. Tracce che non hanno nulla da invidiare ai brani in assoluto più gettonati del gruppo.
Alessandro
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