Da qualche anno non mettevo su “Wasting Light”, album dei Foo Fighters risalente al 2011 che acquistai proprio nella primavera di quell’anno. L’ho sempre reputato l’album più concreto, incisivo e maturo. Tuttavia, come spesso capita quando in casa si possiedono parecchi dischi, ho finito per metterlo un po’ da parte, quasi dimenticandomi delle sue belle caratteristiche ravvisate fin dai primissimi ascolti.
Risentendolo oggi non posso non complimentarmi con Dave Grohl e soci per l’ottimo lavoro svolto. A proposito di “Wasting Light”, nel titolo di questo post parlo di gioiello “inaspettato”. Vado a spiegare perché.
Dopo aver iniziato alla grande il nuovo millennio con “One by One” e “In Your Honor”, pubblicati rispettivamente nel 2002 e nel 2005, i Foo Fighters incapparono in una fase non proprio brillantissima, almeno in termini di successo, di risultati. A mio avviso “Echoes, Silence, Patience & Grace” del 2007 fu un album eccellente, eppure critica e fan di vecchia guardia non lo apprezzarono molto. Circa 2 anni dopo la band americana pubblicò pure una raccolta, vale a dire “Greatest Hits”, accompagnata da un paio di inediti di certo non pessimi ma, in tutta verità, non così entusiasmanti. Ecco, a quel punto tutto lasciava pensare a un futuro discografico tutt’altro che entusiasmante per loro.
Chiusa idealmente una prima fase della propria carriera, i Foo si rimisero pian piano al lavoro con l’idea di dare alle stampe un album capace di convincere sia il pubblico che loro stessi. Ebbene, quando poi nel febbraio del 2011 le radio iniziarono a passare il singolo Rope fu davvero un grande piacere trovarsi di fronte a un pezzo così roboante, tirato, poco commerciale eppure in grado di “arrivare” a un bel numero di ascoltatori.
Insomma, Rope non fu una mina vagante, bensì un indizio chiaro della sorprendente resa complessiva del disco destinato a includerlo. Quando dalla metà di aprile si cominciò ad ascoltare integralmente “Wasting Light” si comprese l’enorme sforzo creativo e produttivo compiuto dal gruppo capitanato da Grohl, lieto di coinvolgere nel progetto un chitarrista efficace ed esperto quale Pat Smear, noto per la sua militanza nei Germs e pronto a dare una bella sterzata al sound dei Foo, in quel momento divenuto improvvisamente meno mainstream e più acido, granitico.
Credo che la validità di “Wasting Light” sia ravvisabile nell’efficacia di canzoni piuttosto ispirate, nella potenza dei riff di chitarra, nei gradevoli incisi concepiti e quindi cantati da Grohl. Davvero un album ben fatto, senza dubbio il miglior lavoro di sempre del quintetto (oggi sestetto), intenzionato di recente a confezionare album magari più ambiziosi ma, in fin dei conti, non ai livelli dello stesso “Wasting Light” (mi riferisco a “Sonic Highways” e al successivo “Concrete and Gold”).
Alessandro
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