Venerdì pomeriggio ho saputo della prematura scomparsa di una persona dolcissima, con cui non avevo molta confidenza ma che, tuttavia, seguivo attentamente dal punto di vista professionale. Ghita Casadei era un’autentica professionista, una dotata di estrema sensibilità musicale. Non l’ho mai considerata una semplice cantante, una di quelle interpreti impeccabili eppure carenti in termini di inventiva e scrittura. Ghita sapeva benissimo cos’era la composizione e, da buona ascoltatrice, era consapevole del fatto che per scrivere grandi canzoni ci volessero impegno, ispirazione, serietà.
Ero del tutto ignaro del male con cui da tempo era costretta a combattere. Venire a conoscenza della sua morte, così su due piedi, mi ha letteralmente sconvolto. Sicuramente a Roma nutriva di buon seguito da parte del pubblico, nonché di stima da parte di colleghi e giornalisti. Nel 2013 avevo recensito il suo delizioso album d’esordio intitolato “Per quello che sono”. Un disco concreto, curato nei dettagli, fatto con maturità. Ricordo che con estrema gentilezza mi contattò in privato tramite Facebook per segnalarmi l’uscita del cd e io, fidandomi ciecamente della validità del progetto, non esitai a sentire e poi ad analizzare tramite recensione.
Questa perdita fa male davvero. Non posso che stringermi attorno alla sua famiglia, in particolare al fratello Pietro che conosco da più di dieci anni. Un grande vuoto mi assale. Ghita mancherà in questo mondo finto, cinico, schizofrenico, omertoso.
Alessandro
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