I Muse li ho conosciuti con Unintended. Ricordo tutto alla perfezione. Ricordo un pomeriggio assolato di inizio giugno, su di giri perché in procinto di partire per il mare dove sarei rimasto fino ad agosto inoltrato. Ricordo la mia casa libera, «un divano in cui affondare», citando Niccolò Fabi, e la televisione puntualmente accesa. Sintonizzato su Mtv, seguivo uno dei tanti format musicali dell’emittente (probabilmente si trattava di “Hitlist Italia”, non garantisco però). Ad un certo punto il vj di turno iniziò a parlare dei proprio dei Muse, band reduce pochi mesi prima da un incoraggiante esordio discografico. “Showbiz”: questo il titolo del loro primo lp d’inediti. Dopo Uno, Cave, Muscle Museum e Sunburn Matthew Bellamy e soci rilasciavano il quinto singolo con l’obiettivo di dare un’ulteriore spinta ad un cd tanto valido quanto ben venduto.
Anziché puntare sull’ennesimo pezzo esplosivo racchiuso nell’album, o comunque su una traccia frizzante in sintonia con la bella stagione, il trio di Teignmouth e il proprio entourage scelsero un brano sì delizioso, sì emozionante, eppure un po’ in controtendenza con l’offerta generale. Apprezzai moltissimo la musica di Unintended, così come la melodia, il cantato e l’interpretazione da parte del piccolo e giovane frontman. Tempo di soffermarmi sul refrain e mi convinsi di essere alle prese non solo con una signora canzone, ispirata e accompagnata da un videoclip sicuramente d’impatto, ma anche con una formazione interessante. Sound discreto, produzione impeccabile e immagine molto curata: elementi da non sottovalutare, caratteristiche utili per comprendere che i Muse avrebbero continuato a fare dischi, a prescindere dalla possibilità di “sfondare”.
Quando nel 2001 Plug in Baby e New Born iniziarono ad essere diffusi con sempre maggior frequenza ebbi l’ennesima conferma: non si trattava di un fuoco di paglia. Sono convinto che la consacrazione sia arrivata con Time Is Running Out, traccia a dir poco riuscita e fortunata. Il resto lo conosciamo tutti: progetti discografici mediocri eppure ripagati da super tour. Nulla che mi possa interessare: i Muse li ho stimati per l’efficacia e la fame degli esordi. In “Absolution” qualcosa cominciava a scricchiolare, “Black Holes and Revelations” è tutto fumo e niente arrosto. La delusione è passata, accetto il percorso intrapreso ma mi godo “Showbiz” e “Origin of Symmetry”.
Alessandro
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