L’adorazione esagerata per la figura del cantautore malinconico, quello che tira fuori continuamente ballate struggenti e acustiche, porta con naturalezza a fare ricerche su ricerche, nella speranza di trovarne sempre uno ancor più bravo di quelli già seguiti. Ne sento un’infinità di songwriter, da quelli più sperimentali e alternativi a quelli maggiormente classici, almeno negli arrangiamenti. Come moltissime altre persone, ho poi un debole per quelli abituati a produrre dischi di matrice folk, dove le chitarre e gli arpeggi sono ricorrenti.
José González è uno che di arpeggi se ne intende. E se ne intende anche in fatto di produzione. Qui da noi non è conosciutissimo, però il suo seguito ce l’ha eccome. Ho cominciato a sentirlo circa quattro anni fa. Mi intrigava il nome, il fatto di essere svedese ma con origini argentine. Svezia e Argentina, Scandinavia e Sudamerica: un bell’accostamento. La sua musica così delicata e raffinata sprigiona un calore meraviglioso. È interessante il modo in cui arrangia i suoi pezzi: nella maggior parte dei casi riduce all’osso il sound, lasciando che la chitarra classica ne accompagni la meravigliosa voce. Una scrittura sofisticata e pregevole fa poi il resto.
Devo sentirmi ancora bene il suo ultimo “Vestiges & Claws” del 2015, oltre al materiale rilasciato con i Junip. Intanto mi godo la bellezza indescrivibile di gioielli come “Veneer”, il disco d’esordio, e poi “In Our Nature” del 2007.
Alessandro
Leave a Reply