Per un appassionato di calcio come il sottoscritto, i mondiali disputati nel 1994 negli Stati Uniti rappresentano qualcosa di speciale. Si tratta della prima manifestazione calcistica che ho seguito con attenzione e di cui ricordo ancora molti dettagli, nonostante al tempo avessi appena sei anni. Mi ero avvicinato al calcio da pochissimi mesi, ammirando il grande Milan di Van Basten che finì per sedurmi. Quando presero il via i mondiali la mia passione per questo sport aumentò in maniera spropositata, esagerata. Sarà stata la maestosità di quegli stadi immensi, sempre pieni di gente e assolati, saranno state le gesta incredibili di Baggio, le casacche variopinte del mitico Jorge Campos, oppure le bandiere delle nazionali, il tifo sugli spalti, l’attenzione mediatica verso quell’evento così atteso. Non so. Di certo vedendo le partite di quella competizione alla tv qualcosa scattò, tanto che negli anni successivi non mi persi neanche un match tanto dei mondiali quanto degli europei (indescrivibile la foga con cui seguii quelli in Inghilterra nel 1996).
Ci penso spesso a quei mondiali. Ci penso specialmente quando arriva l’estate. Il ricordo va puntualmente a quei giorni ormai lontanissimi, alla casa al mare dei miei nonni a Pescara dove trascorrevo le vacanze per tornare a Roma soltanto a settembre. La sera rimanevo sveglio fino a tardi con mio nonno a vedere le partite, poi la mattina seguente passavo ore e ore in spiaggia con i miei amici a parlare dei nuovi calciatori scoperti o delle gare più incredibili, tipo la clamorosa vittoria della Bulgaria ai quarti contro la Germania (2-1 in rimonta con i gol di Stoichkov e Lechkov). Tutto mi colpiva di quelle partite: dalle giocate di fenomeni come Romario e Bergkamp alle acconciature bizzarre di Larsson e Valderrama, dalle divise delle squadre alle porte gigantesche con le reti che si gonfiavano ad ogni rete. E poi i portieri, i numeri uno, quelli che poi mi mettevo a imitare al mare nelle partitelle pomeridiane. Rimasi folgorato da gente come lo stesso Campos del Messico, Thomas Ravelli della Svezia, Mihaylov della Bulgaria, Michel Preud’Homme (eroico contro l’Olanda) e, ovviamente, i “nostri” Pagliuca e Marchegiani.
Quante sofferenze, quante emozioni con quell’Italia partita malissimo, a pezzi fisicamente, ad un passo dall’eliminazione contro la temibile Nigeria, ma capace poi di sfornare due grandi prestazioni contro Spagna e Bulgaria prima dell’amara finale contro un Brasile tutt’altro che irresistibile (ricordo una finale noiosa anche se vissuta con incredibile tensione). L’Italia presa per mano dal grande Roby Baggio, forse il più grande calciatore italiano di tutti i tempi, straordinario ai quarti e in semifinale. L’Italia del gladiatore Baresi, capace di recuperare in tempi record dopo l’infortunio al ginocchio e di ripresentarsi in finale a Pasadena per tirare fuori una prestazione eccellente, sporcata poi dal quel rigore sciagurato. L’Italia di un Sacchi spiazzante e discutibile nelle scelte. Di un Albertini a tratti sublime, o di un Dino Baggio concreto e decisivo (chissà se non l’avesse messa dentro contro la Norvegia). Usa ’94, che meraviglia. Sintesi perfetta di un modo di giocare a calcio che oggi non si vede più. Quanta nostalgia a ripensarci.
Alessandro
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