Ho lasciato passare un po’ di giorni prima di scrivere un pensiero su Pino Daniele. Solitamente non intervengo mai quando scompaiono i grandi maestri. Non lo faccio perché quando qualcuno se ne va preferisco il silenzio alle parole. Sono fatto così.
Pino però era un artista con cui sono letteralmente cresciuto, e la notizia del suo decesso mi ha colpito molto, nonostante fossero noti i suoi problemi di salute, nonostante lui continuasse a fare tournée senza prendersi pause.
Possiedo diversi suoi dischi a casa, e questo perché i miei genitori sono sempre stati grandi estimatori della sua opera. La loro giovinezza è stata scandita da canzoni e da album magistrali (“Terra Mia”, “Pino Daniele”, “Nero A Metà”, “Vai Mo'” e tantissimi altri). La mia infanzia è stata invece attraversata dal Pino Daniele dei primi anni Novanta, quello di “Che Dio Ti Benedica” (grandissimo disco), “Non Calpestare I Fiori Nel Deserto”, “Dimmi Cosa Succede Sulla Terra” e “Come Un Gelato All’Equatore”. Album piuttosto pop, fatti di buone hit ma anche di brani poco brillanti. Album forse non sensazionali, ma a cui devo molto e che avrò ascoltato un’infinità di volte in macchina con la mia famiglia (ogni disco che usciva era nostro).
Mi ha sempre stupito la sua prolificità: pochi ne parlano, ma lui scriveva e incideva con una rapidità sorprendente. Tempo due anni massimo ed arrivava un nuovo lavoro. In più era sempre in giro a suonare. Un tour dopo l’altro, e poi non rinunciava mai a mettere una chitarra su un pezzo di qualche amico. Una generosità incredibile la sua. Quando collaborava ci metteva l’anima: non si limitava ad eseguire il classico solo di venti, trenta secondi, ma se gli era consentito si occupava di curare l’intero arrangiamento di una canzone.
Oltre all’abnegazione e all’entusiasmo con cui interpretava il ruolo di compositore, vorrei sottolineare la sua invidiabile curiosità musicale. Pino adorava la contaminazione. Non si poneva limiti, era aperto a tutto. Gli piaceva inserire sempre nuovi spunti sonori nei suoi dischi. Se gli capitava di avvicinarsi ad un genere musicale a lui sconosciuto, ecco che provava subito ad avvalersene in fase di scrittura e di registrazione. Poi magari il risultato non era strabiliante, però lui tentava ogni volta, e spero che con il tempo la gente si accorga di ciò ascoltando con maggiore attenzione i suoi album.
Non mi dilungo più di tanto, anche perché in fondo non ho aneddoti particolari da raccontare visto che non lo conoscevo di persona, e visto che non mi è mai capitato di assistere ad un suo concerto (grande rimpianto questo).
Certo è che in queste settimane sto riascoltando gran parte della discografia di Pino. Sto sentendo i suoi ultimi lavori d’inediti, in particolare “Iguana Café – Latin Blues E Melodie”, un Lp poco fortunato ma con qualche spunto interessante, e poi i più recenti “Il Mio Nome È Pino Daniele E Vivo Qui” del 2007 ed “Electric Jam” del 2009 (chissà perché alla fine non sia più uscita la versione Acoustic del progetto).
Mentre chiudo questo post ascolto invece “La Grande Madre”, il suo ultimo disco, quello che risale al 2012 e che molto probabilmente sarebbe stato seguito a breve da un nuovo cd (Pino l’avrebbe fatto uscire sicuramente quest’anno). Lo sento per la prima volta, e così su due piedi devo riconoscere che non si tratti di un album eccezionale. A livello sonoro ci trovo molti legami con i lavori appena precedenti. Al di là di questo, è un buon progetto, un progetto quantomeno onesto e prodotto degnamente. Questo faceva Pino ormai: un pop rock dinamico, alternato con intense ballate al pianoforte. Io voglio invece ricordarlo con un brano frizzante, uno dei suoi pezzi più conosciuti e gettonati dalle radio. Io Per Lei. Quanti ricordi questa canzone. Mi ricorda l’estate del 1995, il mare, le partire a pallone sulla spiaggia, il juke box dello stabilimento di Pescara dove trascorrevo le vacanze. Gli anni Novanta. Mio padre, le scuole elementari. Mia zia. Tante cose.
Ciao Pino, grazie di tutto. Davvero.
Alessandro
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