Qualche settimana fa sono riuscito a togliermi un bello sfizio: sono entrato in un negozio di dischi, cosa che non accadeva da un po’, per portarmi a casa un album che desideravo fortemente da tempo, “Kiss Each Other Clean”. Un gioiellino, che costicchiava, questo è vero, ma che a mio avviso valeva davvero la pena comprare.
Si tratta del quarto Lp ufficiale di Samuel Beam, eclettico e raffinato compositore americano nato in Texas nel ’74 che da quando ha iniziato a incidere canzoni ha scelto di utilizzare lo pseudonimo Iron & Wine.
Stimo molto questo artista perché ha una sensibilità musicale tanto rara quanto incredibile nel panorama internazionale. Una sensibilità che unita ad una grande fantasia gli consente sempre di confezionare canzoni straordinarie per suoni, musiche e parole.
Sono arrivato a lui per puro caso: nell’estate del 2011 acquistai il bellissimo album “Mission Bell” dell’amico e collega Amos Lee, e in quel cd era presente una canzone fantastica intitolata Violin, un pezzo che mi colpì fin dal primo ascolto.
Andando a leggere i crediti all’interno del booklet, diedi rapidamente uno sguardo ai musicisti coinvolti nell’incisione di quello specifico brano, e visto che non ne conoscevo nemmeno uno, pensai bene di farmi un giro in rete per capire di che gente si trattava.
La persona su cui trovai più informazioni fu proprio il buon Samuel, anche perché rispetto agli altri strumentisti era l’unico che aveva pubblicato materiale discografico.
Era agosto, mi ero appena laureato. Avevo intere giornate libere e tempo da perdere a Roma, così iniziai a sentirmi tutti i suoi dischi in rete, partendo dai primi due lavori, ovvero “The Creek Drank The Cradle” (2002) e “Our Endless Numbered Days” (2004), dischi che reputai immediatamente fantastici per la delicatezza musicale e testuale che li avvolgeva: arpeggi favolosi, chitarre acustiche in primo piano, voci incantevoli, splendide linee melodiche: insomma, il top.
Ho impiegato molto tempo per “distaccarmi” da quei due dischi e per sentirmi gli altri due album che Beam aveva pubblicato fino a quel momento, ovvero “The Shepherd’s Dog” del 2007 e, appunto, “Kiss Each Other Clean” (2011). Sarà che in quel periodo ero alla ricerca di sonorità minimali e di canzoni intimiste, nonché ricche di profondità. Non so.
Poi però mi sono deciso a sentire con attenzione “The Shepherd’s Dog” e “Kiss Each Other Clean”, e lì ho compreso davvero il genio di quest’uomo, che da un certo punto in poi ha cambiato totalmente modo di arrangiare i suoi brani. Attenzione: non ha cambiato il modo di scrivere, ha soltanto cercato di osare sperimentando suoni nuovi, facendo confluire nelle sue canzoni elettronica e contaminazione.
Sia “The Shepherd’s Dog” che “Kiss Each Other Clean” hanno dei pezzi e delle sonorità a dir poco sorprendenti, per i quali serve forse un po’ di pazienza all’inizio, ma che alla lunga finiscono per stupire ed ammaliare. Fantastico. Davvero un grande.
Samuel Beam avrebbe tranquillamente potuto continuare a sfornare dischi “ordinati” e simili tra loro, fatti di canzoni sempre in bilico tra folk e blues. E invece si è letteralmente messo in discussione, dando vita ad un qualcosa di moderno, sperimentale, non troppo intellettualoide e quindi ugualmente accessibile a tutti.
“Kiss Each Other Clean” è un disco straordinario. Più lo ascolto più mi ci perdo. Credo sia uno degli album più incredibili pubblicati nel 2011. Lo consiglio di cuore a tutti. E a tutti consiglio di perdersi prima o poi nel mondo sonoro di Samuel Beam, o Iron & Wine. Fate vobis.
Alessandro
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